GALANTE MANET di Mirella Appiotti

GALANTE MANET GALANTE MANET Lettere d'amore, saluti, omaggi del pittore francese ISABELLE, l'ereditiera, è una susina; Méry, la cocotte, un convolvolo (rosa); madame Guillermet, modista nel Faubourg Saint-Honoré, un paio di gambe svelte in lievi stivaletti; lui, l'autore, un gattone bigio e imbronciato: personaggi, interpreti e il loro doppio della piccola commedia, o dramma?, scritta da Manet nell'estate del 1880. Biglietti, saluti, omaggi, rimbrotti, speranze, accompagnati, o piuttosto sostenuti, da acquerelli e disegni, teneri e ironici, indirizzati a dame troppo lontane. Il grande innovatore della pittura moderna cerca di rischiarare uno dei periodi più bui della sua vita. Ha solo 48 anni, è gravemente attaccato dalla malattia neurologica che dopo tre anni lo ucciderà. A Bellevue, in Bretagna, segue cure idroterapiche. Lavora, nonostante la sofferenza, dipinge: soprattutto la sua casaprigione attorniata da un folto, meraviglioso giardino. Ha poco che lo consoli: gli piace qualche contessa in visita, però le visite più attese non arrivano. Sono voci dalla malinconia, le trentacinque Lettere a Isabelle, Méry e altre signore, pubblicate da Rosellina Archinto con l'introduzione di Francoise Cachin, la studiosa che ha collaborato al catalogo della grande mostra di sette anni fa a Parigi e a New York (traduzione di Annalisa Ponti, pp. 121, L. 60 mila). Anche quelle buffe, in rima: «A Isabelle/questa mirabella/ma Isabelle/ è la più bella». Simpatico Manet capace di scrivere gentili inezie. Lui che non scrive mai, non tiene neppure il diario; agli amici, Baudelaire e Zola, agli altri «complici» dei tempi di Olimpia e del Déjeuner, Astrae e Nadar, manda, per tutta la vita, quasi soltanto messaggi «di servizio» e perfino con la moglie, dagli spalti di Parigi assediata dove, nel '70, fa il «soldato» per Gambetta, è avaro di notizie. Ma qui si tratta di una galanteria, la cosa che più gli piace al mondo, offerta a una fanciulla molto elegante con pari squisitezza: il disegno attraversa la pagina, o s'intreccia con la frase veloce, la battuta, il nonnulla. Isabelle Lemonnier è figlia minore di un importante gioielliere di place Venderne, famiglia che conta; sua sorella, moglie di Gustave Charpentier editore dei naturalisti e di Zola, tiene uno dei più ambiti salotti della Terza Repubblica, può decidere del destino di molti artisti, ha appena decretato la fortuna di Renoir. Però Manet non vuole, come gli altri, la potente signora, è sedotto dalla ragazzina, già scaltra di cose mondane. L'aveva un po' annoiata facendole tre o quattro ritratti, e costringendola a interminabili pose, quelle che anche Berthe Morisot ricordava come un incubo. («... ma non sapeva disegnare... ricominciava continuamente daccapo i suoi quadri...», dice Isabelle molti anni dopo descrivendo con semplicità la famosa tecnica di lavoro dell'artista). La ragazza è in Normandia, in vacanza. Ai richiami del maturo amico, naturalmente non risponde. Allora comincia il gioco: i rimproveri (il gatto si presenta voltando la schiena e sa essere maligno: «Credo che voi amiate i vostri amici meno di quanto faccia io»); i risentimenti («Anche la più bella delle ragazze non può offrire quello che non ha»); i dispetti: la più bella delle ragazze è effigiata in mutandoni da bagno nell'atto di tuffarsi, in primo piano un grande sederone. Eccolo, il vecchio boulevardier: nelle belle estati di Parigi, lui e la sua banda lasciavano la tavolozza, le battaglie, i salotti chic dove erano molto desiderati, per esercitarsi nell'inseguimento stradale delle giovani donne. «Ieri ne ho incontrata una sul Pont de l'Europe — racconta Manet all'amico ministro Antonin Proust —. Camminava come solo le parigine sanno fare, ma con una sapienza affatto particolare. La dipingerò a memoria perché "ci sono cose che mi restano impresse indelebilmente"». E nell'atelier di Rue d'Amsterdam non mancavano mai amiche e modelle: lasciavano dietro di sé il loro profumo («l'odore di femmina, era quello che voleva sentire») e talvolta sul canapé scordavano qualche oggetto, toque, piuma, fiore che l'artista subito dipingeva con l'inesauribile passione riservata all'universo femminile. Bloccato, quasi immobilizzato, Manet non ricorda soltanto, inventa. «Questi messaggi galanti leggibili su un duplice registro — nota Francoise Cachin — appartengono più alla tradizione poetica che a quella pit torica francese. Sono il "Je vous envoi un bouquet de ma main" di Ronsard. Profumano di quell'Oriente tanto caro agli impressionisti. "Poesie su una goccia d'acqua": l'intero im maginario di queste lettere po Tebbe prendere il nome dalle "tampe giapponesi dell'ukiyo e, la pittura del mondo mute vole, immagini della vita che fugge». Quanti pittori dopo di lui, Gauguin e Bonnard, Matisse e Picasso e avanti, useranno quest'arma astuta e infallibile per tessere nuove amicizie, cercar di trafiggere cuori di pietra... Manet anticipa anche i «versi di circostanza» del suo grande amico Mallarmé, d'altronde i due sono vissuti sempre molto vicini, il loro legame è rafforzato dalla presenza di Méry Laurent, altra protagonista delle «Lettere». Un tempo fiamma di Manet, sarà il grande amore del poeta. La chiamano il «Pavone». Donna superbamente elegante, ha una grande storia alle spalle: si era sposata a 15 anni con un salumaio su¬ bito abbandonato, era stata ballerina di fila allo Chatelet, aveva infine incontrato tal dottor Evans, dentista americano di Napoleone III che, privo di gelosia, l'aveva lussuosamente sistemata lasciandola libera ai suoi amori. Pare abbia regalato qualche tratto alla Odette proustiana. Il pittore la ritrae avvolta nelle pellicce di Worth, Méry diventa una specie di ambasciatrice di moda per i due artisti che adorano la frivolezza degli abiti femminili e discutono con serietà sulla «poetica dello chiffon» (Mallarmé in anni grami aveva tenuto rubriche su riviste femminili, si firmava «Miss Satin»). Con lei Manet non ha perduto l'antica complicità; a lei sola, da Bellevue, confida: «Per essere in penitenza lo sono, mia cara, e come non lo ero mai stato in vita mia» e la lettera è accompagnata dal simbolo della fedeltà, il convolvolo. Omaggio meritato: questa signora molto esperta, dal gusto sicuro e dal cuore generoso gli è vicina per tutta la malattia con doni, fiori, visite. Con lei, Mallarmé. Entrambi saranno disperati per la sua morte. Mallarmé scrive a Verlaine: «Per dieci anni ho veduto ogni giorno Manet e oggi la sua assenza mi sembra inverosimile». Méry, in silenzio, porta ogni anno sulla tomba dell'amico «biondo, ridente, pieno di grazia» i primi lillà di stagione. Mirella Appiotti

Luoghi citati: Amsterdam, New York, Normandia, Parigi