IL SETTECENTO IN BRODO

IL SETTECENTO IN BRODO IL SETTECENTO IN BRODO Camporesi legt L'ostrica batte l'inquietudine del secolo nella riforma della tavola il cervo, arrivano i vini e la cioccolata DAVVERO mi sembra che nessuno dei suoi lettori se ne ricordi più; come qualmente Piero Camporesi sia un letterato, cioè venga da studi e da maestri di lettere di gran magistero, e ne sia a sua volta docente, di lettere accademiche. E come gli esordi sian proprio di materia specialistica. Il suo di Breme e il suo Bertoldo sono lì ancora a documentarlo egregiamente. Lo dico perché senza questa memoria, questo riferimento, si corre il rischio di formarsi una visione distorta o riduttiva di quella sua produzione più recente, che tanta fama gli ha procurato (forse più all'estero che in Italia). Il rischio, insomma, è di non cogliere la natura più vera, anche se intrappolata e nascosta, dei suoi lavori, seguendo invece il loro sviamento, come dire, mondano che a occhi sprovveduti lo fa apparire quasi un cultore curioso e profondo di storia gastro-alimentare. L'inganno, il trabocchetto è nei titoli che ormai da anni sfilano in bell'ordine: «Il paese della fame», «Alimentazione folklore società», «Il pane selvaggio», «L'officina dei sensi», «La carne impossibile», «Il sugo della vita». L'inganno, dunque, per quanto possa esser tale, cova- va negli stessi titoli, che facevano riferimento ad una ben palpabile e riconoscibile realtà che ciascuno crede di avere per familiare, per frequentazione quotidiana, benché poi si accorga di non conoscerne la storia. Lì sta un pizzico della fortuna di Camporesi, nella sua abilità di offrire una sorpresa ai lettori, non dissimile funzionalmente dal colpo di scena, coinvolgente perciò, che ingenera complicità e simpatia. Credevamo di conoscerci, non ci conoscevamo ed ora ci conosciamo meglio... La novità è che ciò avvenga non attraverso un libro divulgativo ma un testo scientifico. L'uomo è il centro degli interessi e quindi della ricerca di Camporesi. Non tanto però un'idea astratta di uomo, bensì un uomo storico, nei suoi comportamenti così come nei suoi condizionamenti economici, nei suoi gusti e nelle sue contraddittorie tensioni, nelle sue mode e nelle sue ideologie. Sono questi gli elementi che contribuiscono a formulare un'immagine reale di quell'uomo storico, appunto, dentro uno storicissimo paesaggio, con tutto ciò che di economico, ed è il più, attiene al paesaggio. Ed è su questi elementi che Camporesi è andato progressivamente elaborando quel suo ritratto di uomo (ogni volta una «materia» o un secolo o una cultura nuovi), in tutta l'estensione sociale (dai contadini ai mercanti ai cortigiani) e intellettuale. Un uomo però che si manifesta nei suoi sensi e nei bisogni o desideri che vi attengono; un uomo la cui specificità passa per le vie del corpo, delle sue gioie, piaceri, carenze, paure. E ben sappiamo quale importanza preponderante abbiano, in quella prospettiva, le questioni che riguardano il cibo e la gola, tra necessità e godimento, in stretta connessione complementare con gli altri sensi. Da letterato, il materiale documentario e testimoniale di questa operazione Camporesi lo attinge in buona parte dalla letteratura, estensivamente intesa. Queste considerazioni, che valgono un poco per tutta l'opera camporesiana, mi sono state suggerite, come a compendio e a conferma, anche dall'ultimo volume della summa, «Il brodo indiano» (Garzanti). L'oggetto in causa questa volta è la civiltà del '700, il secolo illuminista riformatore e il secolo sensista, quanto il secolo del «buongusto», un tempo di passaggio, e quindi di resistenze barocche e di anticipazioni romantiche, di ordine classificatorio. Camporesi legge l'inquietudine del secolo nella riforma della tavola, una novità ordinativa di «nobile semplicità, asciutto decoro», che «si inserisce nel più ampio contesto dell'evoluzione economica italiana [...]. Alla "prodigalità sconsigliata" del secolo precedente subentra la "sontuosità delicata" [...]. Cambia il rapporto con gli alimenti, i cibi si guardano con occhi nuovi. Si trasforma il gusto, si condanna l'eccesso». Così l'ostrica batte il cervo, mentre si affermano novità esotiche come la cioccolata, il «brodo» in titolo, oltre a vini, profumi, suppellettili, abiti... L'abilità, e l'originalità, di Camporesi sta nel trattare in modo affascinante un argomento che comporta il ricorso a una straordinaria erudizione, resa lieve. Come? La prima persona (che pure è prepotentissima) si mimetizza, sembra annullarsi nell'accumulo delle informazioni e citazioni (vere chicche di Magalotti, Algarotti, Pietro Verri, ma soprattutto di Giovan Battista Roberti), sempre golosissime. La prima persona, però, vien fuori a imporsi nella sua scrittura, nello stile fascinoso e un po' «faisandé», come si addice alle carni più preziose. Folco Portinari Piero Camporesi Il brodo indiano Garzanti pp. 164. L. 24.000

Luoghi citati: Breme, Italia