Un uomo nuovo già alla Camera di Andrea Manzella

Un uomo nuovo già alla Camera Un uomo nuovo già alla Camera E • giusto che a Sandro Pertini sia -reso l'omaggio della Repubblica nella grande aula di Montecitorio. E' qui, in verità, che ancor prima dei suoi straordinari sette anni al Quirinale, si era rivelato, già ultra settantenne, homo novus. Appena eletto, nel 1968, Presidente della Camera dei deputati, chiese ai membri della Giunta per il regolamento di «verificare la corrispondenza delle norme d'organizzazione dei nostri lavori a quello che deve essere, secondo lo spirito della Costituzione, il ruolo del Parlamento nella complessiva vita dello Stato». Così, semplicemente, metteva in discussione un tabù: il regolamento * parlamentare del 1948 (che era poi quello prefascista del 1901): quello che aveva regolato, con debolissime procedure, la difficile coabitazione in Parlamento di maggioranza e opposizione nel clima della «guerra civile fredda». Iniziò un lavoro che impegnò Pertini allo spasimo «con una punta d'orgoglio — come ebbe a dire — che credo non debba essere considerato una colpa». La negoziazione durò per due anni, aspra e accidentata. La «paura del tiranno» non era affatto scomparsa nella opposizione. Il governo veniva considerato, per inalterata tradizione, il «nemico» del Parlamento. Già campeggiavano in Europa la costituzione di De Gaulle-Debré, le ferree regole del Bundestag tedesco, gli antichi meccanismi maggioritari del Regno Unito. Ma in Italia il più forte partito comunista dell'Occidente, escluso dal governo, doveva mantenere un certo suo «dominio» del Parlamento. Il bilanciamento di poteri costituzionali, allora, era questo e più in là non si poteva andare. La storia istituzionale, vent'anni dopo, ci dice d'altronde quanto sia stato faticoso (e lo sia ancora) ogni passo in più, benché tutto sia politicamente e culturalmente cambiato, intorno a noi. Non regge alla prova dei testi e dei documenti la leggenda della creazione, nel 1971, di una Camera «assembleare». Al contrario si cercò, allora, di ridurre il tasso di as semblearismo che già c'era nelle flebili norme del prefascismo. Esse avevano attra versato la forma della Costi tuzione del 1948, senza acco glierne la novità centrale del «governo di programma», che, dunque, avrebbe dovuto naturalmente possedere in Parlamento strumenti e prò cedure per la attuazione prò grammatica. La modernizzazione arrivò alle frontiere del possibile. Si introdusse il concetto di prò grammazione dei lavori parlamentari. Si sottrasse all'as semblea il potere di «appello» I nelle controversie procedura I li. Soprattutto, si fece del Par¬ lamento un organo di partecipazione politica, quasi a mezza strada tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, aprendo le procedure, fino allora riservate al confronto bilaterale governoParlamento, ai, protagonisti della vita amministrativa, civile, imprenditoriale del Paese. Si concentrò il controllo parlamentare, sottraendolo ad un destino di frammentazione, nelle commissioni, luoghi di contatto continui con i ministeri. E qui si inventarono le «risoluzioni» per ridurre l'onnipotenza dei «feudi» ministeriali. Nulla di tutto questo, possiamo ora dire con il senno del poi, è stato portato con efficacia sino alle ultime conseguenze. Ma nulla di tutta questa semina è andato perduto. Sull'impianto del regolamento del 1971 si sono innestate graduali riforme: dalla «sessione di bilancio» al «voto palese», dal «contingentamento dei tempi» allo «status dell'opposizione». Si è continuato il discorso che, allora, Pertini non potè proseguire, secondo un indirizzo verso l'alternativa. Lo sviluppo è avvenuto e continua con difficoltà ma senza fratture. Una delle solite storie di dietrologia dice che il regolamento del 1971 nasce da una intesa Andreotti-Ingrao (allora presidenti dei gruppi de e pei) in preparazione della stagione della solidarietà nazionale che doveva iniziare addirittura cinque anni più tardi dal 1976 al 1979. E' una storia quasi certamente fasulla, ma, come tutte le favole, ha il pregio di sintetizzare una morale vera. Come avevano intuito Aldo Moro, Ugo La Malfa ed Enrico Berlinguer la maturazione del sistema politico Italia doveva passare attraverso una fase di omogeneizzazione nella quale il principio di maggioranza, alfa e omega della democrazia, doveva'subire una inevitabile eclisse, in attesa del tempo dell'alternativa. Il merito di Pertini, presidente della Camera, tra il 1968 e il 1976, fu di capire che la modernizzazione parlamentare non poteva bruciare certe tappe, che erano quelle della progressiva suturazione delle crisi di legittimità apertesi nel 1947. Quando il 18 febbraio del 1971 la Camera approvò con 465 voti favorevoli e 41 contrari il nuovo regolamento, Sandro Pertini ricevette trionfali riconoscimenti da tutti i gruppi: anche da chi, come il neonato Manifesto, votò contro le nuove norme. Da parte sua, rispose con tono sommesso: «Sappiamo di non aver fatto cosa perfetta. L'esperienza ci dirà quali lacune dovranno essere ancora colmate, quali difetti dovranno essere corretti e quali nuove norme si imporranno» Andrea Manzella >Ha

Persone citate: Aldo Moro, De Gaulle-debré, Enrico Berlinguer, Pertini, Sandro Pertini, Ugo La Malfa

Luoghi citati: Europa, Italia, Regno Unito