L'ambasciatore di nome Slansky di E. S.

L'ambasciatore di nome Slansky L'ambasciatore di nome Slansky Da Praga a Mosca il figlio della «spia sionista» MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Sul marciapiede che chiude la pista dell'aeroporto di Vnukovo ad attendere il presidente cecoslovacco Vaclav Havel, tra il picchetto d'onore in alta unifome e il vicepresidente del Soviet supremo dell'Urss, Anatoly Lukyanov, c'è un uomo con un cappotto grigio. E' il nuovo ambasciatore di Praga a Mosca, Rudolf Slansky: il figlio dell'ex segretario generale del partito comunista ceko che fu impiccato il 3 dicembre del 1952 al termine di uno degli ultimi e dei più spaventosi processi staliniani. Per Rudolf Slansky, diplomatico appena da dieci giorni — fino alla nomina avvenuta il 15 febbraio lavorava come ingegnere in una cooperativa immobiliare — questo è il primo impegno ufficiale e la prima comparsa in pubblico. Quando Havel, che scende di corsa dall'aereo indossando un semplice soprabito imbottito, lo saluta, la stretta di mano è calorosa. Poi la cerimonia prosegue. Davanti al reparto militare schierato sull'attenti, baionetta in canna, e alla banda che intona gli inni nazionali, sfilano due personaggi-simbolo del cambiamento a Est: lo scrittore-Presidente che non più di un anno fa la tv sovietica definiva «nemico del socialismo», e l'ambasciatore figlio di una del- le vittime del sistema imperiale del comunismo sovietico che non ammetteva dissidenza. Per Havel e per Slansky è il momento di una grande rivincita. E' un rapporto che parte da un'altra decisione di grande forza simbolica — il ritiro delle truppe sovietiche dalla Cecoslovacchia — e che le nuove autorità di Praga vogliono costruire senza pregiudizi. «Noi dobbiamo costruire le migliori relazioni possibili con l'Urss. Su un piede di parità, da Stato a Stato e non tra due partiti o in termini di potere», dice il neoambasciatore. «E per quanto ri¬ guarda i processi staliniani degli Anni 50 sono un problema del passato. Interessano gli storici, non i politici». Il processo contro Rudolf Slansky e un'altra quindicina di accusati — che avevano tutti incarichi di primo piano nel partito e nello Stato cecoslovacco di allora — fu una delle montature giudiziarie più allucinanti orchestrata dalla polizia segreta sovietica di Beria, con la connivenza del presidente cecoslovacco Klement Gottwald e con la pretesa giustificazione della scoperta di un «complotto sionista». Una mon¬ tatura feroce che costrinse gli imputati a confessare delitti mai commessi. E che si concluse con undici condanne a morte. E' una storia che uno dei pochi sopravvisuti, l'ex vice ministro degli Esteri cecoslovacco Arthur London, ha raccontato sul suo libro «La confessione», trasformato anche in film di successo nel '69 dal regista Costa-Gavras: un film che a Praga è stato proiettato per la prima volta soltanto un mese fa. Quando suo padre fu condannato per «tradimento, spionaggio, sabotaggio e diserzione», Rudolf Slansky aveva 16 anni e fu costretto a nascondersi con la madre in una casa di riposo in Boemia. La riabilitazione di suo padre arrivò soltanto nel 1963, sotto Novotny e dopo il XXII Congresso del pcus a Mosca. Nel 1965 Rudolf Slansky prese anche la tessera del pc cecoslovacco, ma ne fu escluso nel '69 durante la «normalizzazione» seguita allo strangolamento armato della «Primavera di Praga». Firmatario dell'appello di «Charta '77», Rudolf Slansky ha vissuto fino a dieci giorni fa lavorando prima nel grande complesso di costruzioni meccaniche Ckd, poi in una cooperativa. «Diventare ambasciatore a Mosca? No non ci avevo mai pensato», dice Slansky. Ma adesso è qui al fianco di Havel e sta per accompagnarlo al Cremlino. [e. s.]