Alfredo César di M. Càn.
Alfredo César Alfredo César 77 regista della vittoria MANAGUA DAL NOSTRO INVIATO Fra le tante facce felici che si mettevano in posa accanto a dona Violeta, l'altra notte, sul palco del Bambàna, il figlio prediletto Pedro Joaquin, il vicepresidente Godoy, la barba di Calerò, l'ingegner Quintana, e poi Cristiana, Palacio, Layano, Argùero, tutti abbracciati, grandi pacche sulle spalle, grandi sorrisi, grandi segni di vittoria, c'era una faccia che veniva seguita con particolare attenzione, e che più degli altri attirava applausi e congratulazioni. Era Alfredo Cesar. Cesar è oggi l'uomo più odiato, più temuto e più potente del nuovo Nicaragua. E' il principale consigliere politico di dona Violeta, lo stratega della sua campagna elettorale, il suo grande finanziatore per i legami che tiene con Washington. La signora Chamorro ha un grande fascino personale, alta, magra, sempre vestita di bianco, portata in giro come un papa sul suo mamamobil aperto alle folle, l'accompagna anche la memoria rispettata del marito Pedro Joaquin, che nel '78 fu fatto uccidere da Somoza diventando, nel martirio, l'eroe di una rivolta presto generalizzata. Il fascino di questa signora di 60 anni, e i simboli che la sua storia (i Chamorro sono stati per quattro volte presidenti del Nicaragua) ravvivano nella simpatia dei nicaragueni, non basta però a costruire una personalità politica. E anche se gli americani l'avevano prescelta come candidata dell'opposizione ai guerriglieri rivoluzionari, che per qualche giorno ancora tengono il potere a Managua, tuttavia occorreva aggiungerle questa dimensione più convincente e duttile, e Alfredo Cesar, l'il giugno dell'89 fu fatto rientrare dall'esilio per pilotare l'operazione. Laureato all'Università di Stanford, esperto in relazioni internazionali, finanziere, intelligente e cinico quanto basta, a quarant'anni oggi Cesar è il Rasputin del Nicaragua. Ha una vita molto complicata, che lo fa prima direttore del Banco Central nel governo sandinista, poi dissidente e in fuga all'estero, quindi dirigente (il più liberale) della Contra a Miami, infine in rottura anche con la Contra ed esule di buone relazioni in Usa. Lo dicono un agente della Cia, assicurano che la sua spregiudicatezza è pari solo alle sue ambizioni e alla sua capacità di far denaro. Cesar non è un estremista cieco, usa la politica con moderazione, ha disegnato addosso alla sua presidentessa un profilo aperto alla mediazione. La rottura, o quantomeno i dissensi, che si notano all'interno dell'Union Nacional Opositora sono in qualche modo il risultato delle strategie che lui ha dettato a dona Violeta, spiazzando il vicepresidente Godoy e costringendolo ad assumere un ruolo oltranzista. Lui ha preferito tener lontano l'altro aspirante alla vicepresidenza, Enrique Bolanos Geyer, presidente della Confindustria locale, uomo pragmatico e poco portato alla drammatizzazione del confronto politico. Bolanos sarebbe stato un personaggio molto difficile da manovrare, «Rasputin» ha scelto di favorire Godoy e poi di imbalsamarlo. Tutti dicono che Cesar sia il candidato già delle elezioni presidenziali del 1996, che già sia in corsa anche se la signora Chamorro ancora non è nemmeno presidente in modo ufficiale. Cesar è un uomo che guarda lontano, ora aspetta il suo turno. [m. càn.]
Luoghi citati: Managua, Miami, Nicaragua, Usa, Washington
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