E Managua si scoprì antisandinista

E Managua si scoprì antisandinista Daniel Ortega accetta la sconfitta: «Apriamo al nostro Paese un nuovo cammino» E Managua si scoprì antisandinista L'ex presidente eletto deputato Dona Violeta: «Riconciliazione» MANAGUA DAL NOSTRO INVIATO Quando, ieri mattina all'alba, Daniel Ortega ha terminato il discorso con il quale consegnava il Nicaragua rivoluzionario al nuovo presidente eletto, prima una voce, poi cinque, poi dieci, poi il coro di tutti i nicaraguegni che avevano tirato la notte nella grande sala affollata di giornalisti di ogni parte del mondo, hanno attaccato a cantare con rabbia e con orgoglio l'inno del Fronte sandinista, «Addante, combatientes revolucionarios» (((Avanti, combattenti della rivoluzione»). Si chiudeva un'epoca, finiva il sogno di molti, e l'incubo di molti altri. Quattro ore prima, in piena notte, quando dona Violeta era arrivata in carrozzella a proclamarsi nuovo presidente sotto la larga tettoia del ristorante Bambàna affollato di sostenitori impazziti di felicità, anche lei aveva voluto cantare, e si era levata in piedi come tutti e a capo chino aveva intonato l'inno nazionale, «Ya no ruye la voz del canon» («Più non tuona la voce del cannone»). Tra queste due frasi, nell'andamento della loro melodia, e nelle loro stesse parole, si svolge e si consuma una delle vicende più straordinarie della storia politica moderna, che consegna una rivoluzione alla democrazia parlamentare e sancisce un cambio destinato a trasformare gli equilibri politici di mezzo continente. • La giornata elettorale se n'era andata tranquilla, almeno per quanto lo possa essere la giornata del voto di un Paese che comunque è in guerra da otto anni. La gente faceva lunghe code alla porta dei seggi, fin dalle cinque del mattino, aspettava paziente per ore, poi se ne usciva col pollice destro imbevuto nell'inchiosto indelebile, a garanzia di un voto già dato e che non si poteva ripetere. I seggi chiudevano alle sei del pomeriggio; i primi risultati erano attesi tra le otto e le nove. Ma all'una di notte ancora non era arrivato un solo numero ufficiale, e si cominciava a capire davvero che la rivoluzione era stata sconfitta. I sondaggi avevano assegnato al Fronte un risultato maggioritario, tra il 48 e il 55% dei voti; l'opposizione concentrata nel cartello dell'«Uno» sembrava che dovesse accontentarsi di una percentuale tra il 30 e il 38. La gente del Nicaragua ha bocciato invece la rivoluzione che chiedeva la legittimazione del voto, e ha rovesciato i risultati previsti. E la sorpresa è stata tanto più sconcertante perché la campagna elettorale aveva mostrato una scarna presa della candidata dell'opposizione, mentre i comizi del comandante Ortega (eletto deputato) ricordavano ondate oceaniche dove l'entusiasmo non appariva solo un dovere ufficiale di conformismo. Ma ha avuto ra¬ gione dona Violeta, che ancora l'altro ieri aveva dichiarato a «La Stampa» di essere certa della vittoria e che tutti i sondaggi erano stati manipolati. La lunga notte elettorale se n'è andata nell'incertezza di una violenza sempre temuta. Sotto la tettoia del Bambàna l'euforia cresceva col passare delle ore e con l'ostinato silenzio del governo; ma i primi abbracci, l'allegria, le dita a «V» levate in aria, si fermavano dietro i muri bassi del giardino. Fuori, la notte era immobile e silenziosa. Il potere rivoluzionario era anche un potere militare, l'esercito del Nicaragua si chiama anche esercito popolare sandinista; e di storie di rivoluzioni che muoiono pazienti nel passaggio alla maggioranza dei voti non si hanno molte memorie nemmeno in questi tempi di grandi trasformazioni politiche. Quando l'inno nazionale è stato cantato dalla piccola folla sudata ed entusiasta, ancora tutto appariva possibile. La gente però, tutta quella che aveva fatto le lunghe code ai seggi e che nella mattina ci aveva confessato a mezza voce qualche stanchezza, l'amarezza dei sacrifici senza prospettive, i soliti discorsi di chi tira la cinghia e non vede miglioramenti, questa gente aveva già votato a maggioranza contro la continuazione delle incertezze e delle miserie. E aveva già ogni diritto dona Violeta di fare il suo primo discorso di presidente, promettendo due cose soprattutto: «Il mio primo atto sarà l'abolizione del servizio militare obbligatorio». Il secondo: «Voglio, vogliamo tutti, dobbiamo ritrovare tutti, la riconciliazione nazionale». L'applauso della sua folla era generale, convinto. La signora Chamorro, commossa, felice, si abbracciava e si baciava i figli che hanno votato per lei, Pedro Joaquin e Cristiana (gli altri due sono sandinisti, e stavano riuniti con i quadri del Fronte). Managua ha continuato a tacere fino all'alba e poi ancora per tutta la giornata di ieri, che era stata già dichiarata di vacanza. Si ha timore a manifestare, l'odio ha segnato aspramente gli animi. Eppure, quando i nove comandantes della rivoluzione si sono presentati sul palco della sala stampa, ancora giovani nelle loro facce di ex I guerriglieri diventati uomini politici, tutti stretti attorno al loro capo che pronunciava il discorso dell'addio, le parole di Daniel hanno tracciato un racconto nobile e dignitoso, che invitava alla pace senza negare i valori dell'esperienza esaltante che finiva. «Siamo nati poveri e sentiamo l'orgoglio di poter dire che moriremo poveri». La consegna del potere, il cambio delle scelte, il passaggio dei comandi, è ancora tutto da inventare. Ma Ortega voleva ancora affermare, con un tono che gli dava intera una statura certa di uomo di Stato: «La maggior vittoria della quale ci inorgogliamo è che, con questo processo elettorale, apriamo al Nicaragua un nuovo cammino, come già facemmo nel luglio del '79, un cammino dove non ci sia più la guerra, la Contra, la minaccia straniera, l'obbligo della miseria». Mimmo Candito Violeta Barrios de Chamorro, presidente eletto del Nicaragua, esulta dopo la vittoria con il suo vice Virgilio Godoy

Luoghi citati: Managua, Nicaragua