Medellin-Palermo, il primo viaggio della coca di Francesco La Licata

Medellin-Palermo, il primo viaggio della coca Mentre gli investigatori ricostruiscono il patto mafla-narcos, arrestato in Argentina il boss Gaetano Fidanzati Medellin-Palermo, il primo viaggio della coca Il pentito racconta la spedizione della «Big John» PALERMO DAL NOSTRO INVIATO La «Big John», nave mercantile battente bandiera panamense e comandata dal cileno Alien Knox, detto «El Brito», partì da Aruba nel mese di dicembre del 1987. Sbarcò sulle coste trapanesi il 6 o 7 gennaio. Restò ferma al largo, finché venne raggiunta da un peschereccio. «El Brito» prese tutte le precauzioni prima di consegnare il carico. Il cileno non conosceva i marmai siciliani, ma sapeva che qualcuno avrebbe trovato modo di farsi riconoscere. Non rimase, perciò, troppo sorpreso, «El Brito», quando un picciotto gli mostrò una foto a colori della Big John ormeggiata nel porto di Aruba, nei Caraibi. Era quello il lasciapassare. Ebbe così inizio il trasbordo dei 6 quintali di cocaina che i signori di Medellin mandavano alle famiglie mafiose siciliane, nuovi concessionari in esclusiva per la distribuzione della coca in Italia e nel Nord Europa. Comincia così, senza vuoti di memoria, con una messe di particolari su modi e tempi dell'operazione, il racconto di Giuseppe «Joe» Cuffaro, palermitano emigrato negli Usa, «arruolato» nell'esercito dei corrieri di Cosa nostra e, alla fine, arrestato e convinto a diventare collaboratore della giustizia. Una «cantata» che ha permesso alle polizie italiana e statunitense di interrompere l'avvio di una pericolosissima «santa alleanza» tra Palermo e Medellin. Una fusione tra le mafie più pericolose del mondo, la siciliana e la colombiana. Joe ha davanti un giudice, un «assistant attorney», e a lui consegna la sua verità, dopo l'ufficializzazione di un accordo che le autorità italiane dovrebbero prendere in considerazione, come modello, in vista di una nuova normativa sui pentiti. «Si è convenuto — scrive il giudice americano — tra il signor Cuffaro e gli Stati Uniti d'America che le dichiarazioni da lui rese nel quadro della sua cooperazione non verranno utilizzate contro di lui in nessun procedimento successivo, sia civile sia penale, e che alla fine di questo rapporto di collaborazione, se vi si sarà attenuto e avrà detto la verità per tutto il periodo della collaborazione e si sarà mostrato disposto a collaborare, riceverà il sostegno del governo statunitense affinché la sua condanna venga ridotta». Cosa può fare il povero Joe, beccato a Miami con 4 chili di eroina? L'alternativa è una condanna ad almeno 24 anni di carcere. Decide per il pentimento e tira fuori i segreti della «famiglia»: nomi, cognomi, luoghi, date e accordi. Una puntigliosa ricostruzione del «patto di Aruba» tra gli uomini del cartello di Medellin, Waldo Aponte e Angel Sanchez, e quelli di Co¬ sa nostra, i Galatolo, i Madonia, Lo Duca e Naimo, padrini di Miami. Ma il racconto più dettagliato riguarda lo sbarco dei 600 chili, anzi per l'esattezza 566, di coca, pagati qualcosa come 12 milioni di dollari. Joe conosce bene la storia perché vi ha preso parte. Ad inviarlo a Palermo, per seguire tutta l'operazione, è John Salatolo, vicino alla famiglia Gambino, uomo d'onore sin dal 1984, quando mette a disposizione del traffico i locali della sua fabbrica di ventilatori a Miami, intestata alla «Scirocco Fan Company». Cuffaro arriva nella città natale il 27 dicembre del 1987. All'aeroporto di Punta Raisi prende in affitto dall'Avis una utilitaria. Joe ha il compito di tenere i contatti da Palermo con gli Stati Uniti e la Colombia. Deve inoltre comunicare ai siciliani le frequenze radio della Big John e le coordinate per l'appuntamento in mare. Cosa che fa puntualmente. Poi non gli resta che aspettare. Arriva «El Brito» e, a sbarco avvenuto, prende alloggio a Villa Igiea, fino al 4 febbraio. Perché tanto tempo? Per far riparare alcuni pannelli della Big John smontati al momento di scaricare la cocaina. «El Brito», infatti, incasserà un supplemento di 100 mila dollari per le spese. Cuffaro gli consegna un milione: il 25 per cento per il trasporto, 750 mila dollari dovrà riportarli indietro, ad Aruba, e darli come anticipo agli uomini del cartello. Il pagamento della «roba» sarà un problema per la «santa alleanza». Gli ultimi 5 milioni di dollari, infatti, tardano ad arrivare in Colombia e spesso insorgono discussioni animate. Cuffaro ne ricorda più di una: a Palermo, in una vecchia casa dei Galatolo, in vicolo Pipitone. A mettere tutto a posto ci pensa don Nino Madonia, boss di Resuttana, che si impegna a liquidare il debito in 3 mesi. Già, Nino Madonia. Sembra lui, secondo il racconto di Joe, il vero capo, quello che dà mandato di trattare con i colombiani e chiede l'esclusiva per l'Europa. A lui, infatti, va una parte del carico, circa 100 chili. «La coca — racconta Joe — era destinata a 4 famiglie mafiose, le più potenti: i Madonia, quelli di Corleone, il clan di Castellamare». Dell'altra famiglia non ricorda il nome. E proprio in uno dei covi di Madonia, i detective del nucleo centrale anticrimine, che lo seguono da mesi, troveranno i riscontri del traffico. Appuntati in un libro mastro le partite, distinte fra bianca e scura (il tipo di eroina brown sugar), gli incassi, le somme da pagare. Una contabilità per l'eroina, contrassegnata da una E, un'altra per la coca, siglata con una C. Senza ombra di ironia, il boss definisce la distribuzione della droga «spartizione lavoro»: i nomi abbreviati, la quantità data, poi giorno mese, anno. Francesco Madonia e John Galatolo Qui a fianco: il boss Gaetano Fidanzati arrestato a Buenos Aires Finisce col registro di Madonia il racconto di Joe, palermitano pentito, ultimo di una folta schiera. Il giovane adesso è «teste protetto» come si dice in America. Sarà incriminato in Italia? No, è difeso dal contratto con le autorità statunitensi. Di lui forse non sentiremo più parlare. Francesco La Licata