Un palloncino cura il «cuore matto» di oltre 3000 italiani di Franco Giliberto

Un palloncino cura il «cuore matto» di oltre 3000 italiani Ma l'operazione va perfezionata Un palloncino cura il «cuore matto» di oltre 3000 italiani MILANO DAL NOSTRO INVIATO L'altr'anno in Italia 3200 palloncini gonfiabili sono stati introdotti fino al cuore di altrettanti malati che soffrivano di stenosi aterosclerotiche: dunque l'angioplastica coronarica, così si chiama quell'intervento, non ò più una rarità sotto il nostro cielo. Ma ancora una volta siamo alle briciole, se si valuta ciò che in questo campo si fa in Italia rispetto — poniamo — agli Stati Uniti, alla Germania, alla Francia. Negli Usa (241 milioni di abitanti) l'altr'anno sono state eseguite 285 mila operazioni di angioplastica coronarica, e molti cardiologi europei dicono che forse si è esagerato. Però nella Germania Occidentale e in Francia, nazioni pù compassate che ci assomigliano per popolazione, nel 1989 sono state eseguite rispettivamente 24 mila e 19 miia angioplastiche: sei-otto volte più che da noi. Ieri a Milano il Gise (Gruppo italiano di studi emodinamici) ha voluto attirare l'attenzione su questo problema con un opportuno convegno. E' toccato al professor Giuseppe Specchia, cardiologo del policlinico San Matteo di Pavia, ricordare dapprima i grandi progressi di questa tecnica di cura delle malattie coronariche: dai difficili esordi del 1977, quando il catetere-palloncino veniva introdotto nell'arteria femorale e di lì guidato fino alla coronaria da disostruire, con una manovra di non agevole esecuzione per la scarsa raffinatezza dei materiali a disposizione; fino ai progressi tecnici dei nostri giorni, che permettono di raggiungere e dilatare stenosi su più vasi sanguigni, localizzate anche alla periferia delle coronarie, e anche eccentriche o molto accentuate e «calcifiche». Ormai si riaprono e si dilatano vasi completamente occlusi, dice Specchia. Si procede persino durante fasi instabili e gravi di malattia anginosa e nell'infarto acuto. Si trattano pazienti con funzione cardiaca molto compromessa, persone anziane, o con altre gravi patologie che sconsigliano l'intervento cardiochirurgico del by-pass. Così l'angioplastica — conferma il professor Michele Casaccia, che dirige il Centro di emodinamica delle Molinette a Torino — comincia a esser considerata non solo una procedura alternativa all'intervento chirurgico, ma anche una possibile opzione nei confronti della terapia medica. A paragone con l'intervento di by-pass, dove è necessaria l'apertura del torace con la resezione dello sterno e l'instaurazione della circolazione extracorporea, il catetere-palloncino determina un traumatismo molto minore, non richiede anestesia, prevede una breve degenza di 3-4 giorni, un veloce recupero della piena attività fisica, un facile reintervento se necessario, un minor costo sociale ed economico. Casaccia, che ha compiuto un'indagine statistica parti¬ colare sulle vicende cliniche di 40 cardiopatici, ha ricordato che si spendono 9 milioni di lire per l'angioplastica, contro i 15 milioni del by-pass; che nel primo caso il ritorno al lavoro del paziente avviene in media dopo 34 giorni anziché dopo 76 giorni se è stato sottoposto a intervento chirurgico; che le complicanze hanno un'assai bassa incidenza con il catetere-palloncino. E' vero tuttavia che rimangono alcuni problemi da risolvere. Primo fra tutti, al convegno milanese è stato citato il guaio della «re-stenosi», ossia la possibile ricomparsa del restringimento arterioso dopo qualche mese o qualche anno che era stato dilatato con l'angioplastica. Questa recidiva, che si registra nel 35 per cento dei casi trattati, può essere nuovamente risolta con il catatere-palloncino, ma rappresenta il reale limite della tecnica, il vero problema da risolvere. Il cardiologo Michel Bertrand, dell'Università di Lilla, che esegue personalmente centinaia di angioplastiche l'anno, rammenta però: «Quando le funzioni cardiache dei pazienti non sono gravemente compromesse, i successi della tecnica riguardano il 90-95 per cento dei casi trattati. E soltanto nel 2-3 per cento dei casi, durante la manovra con catetere-palloncino, può sorgere una complicazione seria che consiglia di ricorrere immediatamente al cardiochirurgo, per un tempestivo intervento di by-pass che salvi la vita al malato». Non soltanto in Germania e in Francia, comunque, l'angioplastica è praticata molto più frequentemente che in Italia. Nel 1989, sempre in rapporto al numero di abitanti, in Belgio gli interventi sono stati dieci volte più numerosi che da noi, in Austria, Svezia e in Svizzera cinque volte più numerosi, in Norvegia, Irlanda e Spagna tre volte superiori. E persino in Inghilterra, dove l'angioplastica non sembra voler decollare per motivi di politica sanitaria che limitano anche i by-pass, gli interventi l'anno scorso sono stati doppi in confronto a quelli eseguiti in Italia. I nostri 40 centri di emodinamica, ricorda il professor Odoardo Visioli, presidente della Società italiana di cardiologia, sono sicuramente insufficienti. Ed esiste «il solito, orrendo squilibrio» fra le parecchie strutture di emodinamica situate al Nord e il deserto del Meridione d'Italia, aggiunge il professor Paolo Stritoni, cardiologo dell'Università patavina. Indifferenza, perenni ingorghi anche nei centri cardiochirurgici, liste d'attesa insopportabili: «Vien quasi da pensare che la pubblica amministrazione, piuttosto che fare opera di programmazione e riassetto delle nostre strutture, preferisca rimborsare i malati che vanno a farsi fare l'angioplastica all'estero», dice amaramente Stritoni. Franco Giliberto

Persone citate: Casaccia, Michel Bertrand, Michele Casaccia, Odoardo Visioli, Paolo Stritoni, Specchia