Silvana Dall'Orto, un sequestro senza fine

Silvana Dall'Orto, un sequestro senza fine Il giudice di Reggio Emilia: «La sorvegliavamo da mesi, è sempre rimasta in contatto coi rapitori» Silvana Dall'Orto, un sequestro senza fine La donna: «Cercano un pretesto per condannarmi» Biglietto in codice aggrava la posizione del fratello REGGIO EMILIA DAL NOSTRO INVIATO «Hanno ucciso una donna morta. Perché mia moglie è morta. E' morta». Giuseppe Zannoni, piccolo e furente, con il dito puntato. «Ma lo sanno che vuol dire un sequestro, che tortura è, che infamia? Lo sanno come si riduce una persona? La conoscono la paura?». Interrogano sua moglie, per la seconda volta, nel carcere di Reggio Emilia. Elio Bevilacqua, procuratore capo, il grande accusatore, sembra Alfred Hitchcock, fuma la pipa, parla piano, guarda sornione. Silvana Dall'Orto si presenta nella saletta «elegantissima e vanesia: una tigre». Ma è una colpa pure questa? Nel calderone dell'inchiesta, fra le sorprese e i colpi di scena, aumentano un po' anche i dubbi. Chissà dove conduce questo intrico padano. La voce alta della signora Silvana adesso esce dalle grate e arriva nella viuzza buia e deserta. «Non è vero, non è vero... Per volermi condannare voi cercate ogni pretesto», dice Silvana. Alla fine, il suo avvocato, Romano Corsi, si ferma appena pochi minuti con i cronisti: «L'impressione è la stessa che abbiamo avuto leggendo l'ordinanza: evanescenza degli indizi». Spiega: «E' stato fatto un interrogatorio davanti al pubblico mini- stero che il codice concepisce come mezzo per trovare elementi d'accusa. Adesso la difesa ha chiesto la trasmissione del verbale al giudice dell'indagine preliminare perché revochi la misura cautelare». Domani, sempre nella saletta del vecchio carcere di San Tomaso, ci sarà l'udienza preliminare. Giornata forse decisiva. In realtà, di primo acchito, sembra peggiorare la posizione di Artemio Dall'Orto, il fratello di Silvana. A casa sua è stato trovate un biglietto scritto da lui, che gli inquirenti definiscono «compromettente». Poche righe vergate in codice. E le telefonate registrate riguardano solo colloqui avvenuti fra lui e i banditi. La signora Silvana, invece, aggiunge l'avvocato Corsi, «sarebbe solo stata edotta dal fratello del tenore di alcune telefonate». Per lei e il fratello, in ogni caso, le accuse restano pesanti: tentata estorsione e strage. Il giudice non retrocede, conferma tutto, ripete: «Nessun abbaglio, prima di prendere provvedimenti di questo tipo, cerchiamo di essere sicuri di quello che facciamo». E allora si va avanti. Nessuna incertezza. Via Ferrari, vicino al centro della città, dove c'è la villa liberty di Oscar Zannoni, sembra in stato d'assedio, presidiata com'è: transenne da una parte e dall'altra, due vigili davanti ai cartelli di divieto, il carro attrezzi che porta via le macchine in sosta. Rispondono solo al citofono: «I signori non ci sono, non sappiamo quando tornano». Forse la paura non è finita. Oscar Zannoni aveva ricevuto pochi giorni fa un pacco regalo con un chilo di dinamite e 175 grammi di nitroglicerina: roba da far saltare per aria tutta la casa. E per quella bomba sono finiti in carcere Silvana e il fratello. Sapevano che i banditi volevano minacciare l'industriale della ceramica, non l'avevano avvisato. La polizia era già a conoscenza dell'esplosivo, allertata da alcune telefonate. Oscar Zannoni era asfissiato dai banditi da almeno tre mesi, inseguito da minacce e avvertimenti. Volevano un miliardo, perché erano convinti che lui non avesse versato la sua parte di riscatto per il rilascio di Silvana. Dicono gli inquirenti: «Per capire tutto quello che sta accadendo, bisogna conoscere bene la storia del sequestro». Un rapimento che il procuratore capo definì subito «anomalo». Silvana Dall'Orto fu catturata da quattro banditi incappucciati il 18 ottobre dell'88. Quando tornò a casa, ai giornalisti parlò di caviale e champagne, di malviventi dal volto umano. Poi, però, corresse il tiro: aveva girato per un mese e mezzo al freddo, trascinata per sentieri impervi, dormendo in un buco cinque metri sotto terra; era stata maltrattata, aveva avuto crisi cardiache. «E' tutto agli atti», protesta suo marito, Giuseppe Zannoni, «l'ha raccontato al giudice». I banditi, quando l'avevano rilasciata, le avevano imposto di parlare d'altro: «Devi dire che t'abbiamo trattata bene». E le avrebbero pure imposto di far sapere alla stampa che il ri- scatto era stato pagato dai due fratelli Zannoni, metà per uno. Non era vero, e lo sapevano tutti. Ma Giuseppe Zannoni eseguì: chiamò i giornalisti a raccolta e annunciò che ringraziava Oscar per aver contribuito alla liberazione di Silvana. In verità, il tentativo di estorsione era cominciato subito. Quell'annuncio, per i banditi doveva suonare come un avvertimento. E nello stesso tempo, fecero arrivare all'indu¬ striale una busta con quattro proiettili e una letterina: «Uno per te, uno per tua moglie, gli altri per i tuoi figli. Ci rifaremo vivi». Le indagini continuano. Silvana viene ascoltata più volte. E in una occasione avrebbe confessato a un poliziotto di essersi innamorata di uno dei malviventi. Quell'uomo, però, non aveva volto, solo occhi azzurri e nient'altro, magari un nome troppo comune come Ma- rio. Basta. E così, gli inquirenti decidono di sorvegliarla ancora di più. Adesso l'accusa parla di «costante contatto con gli uomini del rapimento». E quando i malavitosi del sequestro ritengono di passare all'azione e spediscono da Mantova il pacco con la bomba per Oscar Zannoni, lei tace. Il cerchio si chiude. E' una vendetta? E quell'esplosivo deve uccidere o spaventare? «Poteva fare una strage», dice il giudice. Però, per capire quest'intrico padano tutto questo non basta. Silvana Dall'Orto è la regina del suo paese, donna avvenente, decisa, dai modi schietti, forse troppo. La conoscono anche a Reggio Emilia, tanto che quando l'onorevole socialista Mauro Del Bue l'aveva proposta per il ruolo di Matilde di Canossa nella consueta festa rievocativa, la gente s'era divisa in due partiti: a favore e contro. La bella Silvana forse paga anche questo. Certo, in questo giallo infinito, marito e moglie sembrano essere stati felici un solo giorno, quello del rilascio. Quando lui non riusciva a fare a meno di esibire la sua ricchezza, dopo averla scontata tanto. «Ma lo sapete quanto pesano quattro miliardi?», sussurrava a chi gli stava vicino. Li aveva pesati, prima di darli ai banditi: «Uhè, quaranta chili pesano». Pierangelo Sapegno Silvana e Artemio Dall'Orto in un'immagine dell'anno scorso Adesso sono finiti in carcere

Luoghi citati: Canossa, Mantova, Reggio Emilia, San Tomaso