La libertà che ci libera di Pier Franco Quaglieni

La libertà che ci libera Omodeo, politico dimenticato La libertà che ci libera ON solo nel campo degli studi storici l'Italia si rivela come il Paese dei convegni, spesso motivati da ragioni che esulano dalla cultura, ma riguardano più da vicino il turismo o altre amenità. E' quindi abbastanza eccezionale che il centenario della nascita di Adolfo Omodeo, imo dei più grandi storici del nostro secolo, sia passato sotto silenzio, se eccettuiamo un penetrante profilo tratteggiato da Gennaro Sasso. Eppure la sua figura non è solo quella di uno storico che ha dato dei contributi importanti alla comprensione dell'età della Restaurazione e del Risorgimento, ma è anche quella di un uomo politico che, negli ultimi anni della sua vita, si gettò con passione nell'impegno civile con una originalità di intenti che meriterebbe ben altra attenzione. Sandro Galante Garrone, che Chabod definì «il discepolo spirituale» dell'Omodeo, ha ripercorso nei Miei Maggiori quel filo sottile che legò una generazione di giovani antifascisti ad Omodeo e alla sua opera in cui si poteva «leggere, tra le righe, una testimonianza di spirito polemico, antifascista». L'Omodeo ebbe una formazione in cui influì fortemente il magistero di Giovanni Gentile, ma non esitò a rompere nel 1926 i rapporti con l'antico professore, avvicinandosi sempre di più a Benedetto Croce, divenuto, dopo il Manifesto degli intellettuali antifascisti, il simbolo morale di chi non voleva piegarsi di fronte alla dittatura, rinnegando «la vecchia fede che da due secoli e mezzo era stata l'anima dell'Italia che risorgeva, dell'Italia moderna». Avviatosi agli studi storici con ricerche sulle origini del Cristianesimo (ricordiamo il suo interesse per S. Paolo), di fronte al fascismo, Omodeo sentì la necessità di dedicarsi alla storia del Risorgimento. La sua Età del Risorgimento, nata inizialmente come testo per i licei, pur con gli squilibri che gli rimproverava Gramsci (troppo europea per una storia italiana e troppo italiana per una storia europea), rappresenta oggi un classico. L'opera politica del Conte di Cavour, pubblicata nel 1940, non è lavoro di mera erudizione, ma suscita ancora oggi interesse in chi non confonde la storia con l'ideologismo nebuloso. In particolare, in Difesa del Risorgimento (che contiene la famosa stroncatura del libro di Gobetti Risorgimento senza eroi considerato, con eccessiva severità, come «l'ideale della storiografia dei giornalisti») egli sentì la necessità di tutelare la tradizione risorgimentale rispetto all'Ariti Risorgimento rappresentato dal fascismo. Sotto il profilo metodologico i suoi scritti raccolti nel Senso della storia costituiscono non solo «ima trascrizione sistematica dei pensieri di Omodeo sugli argomenti più lontani di storia antica e contemporanea», come osservò Luigi Russo, curatore dell'opera postuma, ma sono la testimonianza del «più raffinato storicismo». Non uno storicismo quindi di scuola, pedissequo e ripetitivo. Ha riconosciuto uno storico lontano da Omodeo, Ruggiero Romano, che «nessuno come lui ne ebbe così netto il senso dei limiti». «Lo storicismo — scrisse Omodeo—non è una formula, né un sistema, né una filosofia della storia». Tra i discepoli di Croce la figura dell'Omodeo spicca per originalità nel campo storiografico come quella di Carlo Antoni, un altro grande dimenticato, nel campo della filosofìa. Appena gli fu possibile, per quanto tormentato e logorato — sono parole di Galante Garrone —, non esitò a fondare ^Acropoli, una delle riviste più vive sul piano culturale e politico dell'Italia appena liberata. Fu Rettore dell'Università di Napoli che stava risorgendo dopo le «quattro giornate» e fu ministro della Pubblica Istruzione in un momento difficilissimo. Soprattutto fu tra i capi più prestigiosi (distaccandosi in questa scelta da Croce) del Partito d'Azione, sostenendo quell'idea di libertà liberatrice che riprendeva con nuovo slancio la crociana religione della libertà, rivivendola in un costesto politico e sociale radicalmente nuovo. Le polemiche di Omodeo furono contro i «conservatori stantii», gli «utopisti», «i partiti-galera, chiusi, di ferro». Il «senso della storia» gli consentì di affrontare la lotta politica corazzato di una cultura maturata durante la lunga notte del fascismo, rifiutando i facili entusiasmi, le demagogie dilettantesche ed i sogni impossibili del 1945. La sua libertà liberatrice sarebbe stata, se fosse stata capita, la vera risposta di un nuovo liberalismo ai problemi dell'Italia nata dalla Resistenza. La posizione dell'Omodeo era infatti diversa da quella della Rivoluzione liberale di Gobetti e del Socialismo liberale di Rosselli perché vedeva nella stessa libertà — non nel socialismo — i nuovi germi di un profondo rinnovamento sociale. L'ottusità del vecchio liberalismo — ancora abbondantemente prefascista — fu incapace di cogliere l'importanza della libertà liberatrice, condannando il partito di Cavour, di Croce e di Einaudi, come scrisse molti anni dopo Nicolò Carandini sul Mondo, a darsi in affìtto all'Assolombarda. E' strano l'odierno silenzio attorno all'Omodeo politico, perché le sue idee risultano anticipatrici di prese di coscienza che molti hanno operato, con decenni di ritardo e in modo non sempre lineare, incalzati dalla dura lezione della storia. Parlando dalla Radio di Napoli nel 1943 egli diceva: «Noi abbiamo appreso con durissime esperienze che la libertà si mantiene solo espandendola, ampliando la cerchia dei liberi, combattendo una lotta perenne contro tutte le servitù». La sua è una voce che merita più che mai oggi di essere ascoltata e seguita perché ci indica il difficile, solitario sentiero, spesso in salita, che dobbiamo percorrere se non voghamo smarrire i valori irrinunciabili della nostra stessa civiltà. Pier Franco Quaglieni

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