I ravanelli della Callas e le battute al veleno di Leo Longanesi

I ravanelli della Callas e le battute al veleno Aneddoti e aforismi: pagine di sorprese I ravanelli della Callas e le battute al veleno ALLA fine dello spettacolo, si accendono le luci del Teatro alla Scala: applausi del pubblico, 1 Maria Callas si presenta sul palcoscenico a ricevere l'omaggio degli ammiratori. Ma qualcuno lancia, con cattiveria, un mazzo di ravanèlli: il soprano lo raccoglie, lo porta al viso, lo odora, e con i ravanelli tenuti in mano come un bouquet di fiori preziosi, si allontana lentamente, rispondendo con lo stile allo sgarbo. Aneddoti, piccoli quadri, sequenze significative dell'esistenza fissate in fotografie che non invecchiano. Seconda scena. Palazzi del Vaticano, alla metà del Diciottesimo Secolo. A Prospero Lambertini, noto per la sua arguzia e diventato Papa col nome di Benedetto quindicesimo, si presenta un giorno il confessore di un monastero. «Santo Padre, devo riferirle un fatto gravissimo, che la scandalizzerà e le spezzerà il cuore». «Dite pure liberamente, fratello». «Nel convento, le sembrerà incredibile, c'è una monaca che sta per diventare madre». E il Papa: «Mi scandalizzerei assai di più se accadesse a un frate». Terza scena, alla fine degli Anni Settanta. Dai corridoi del Vaticano all'ufficio dell'onorevole Giulio Andreotti. Durante un'intervista Enzo Biagi gli chiede: «Lei ha detto che a sessant'anni si sarebbe ritirato dalla politica per timore che qualcuno, nella democrazia cristiana, le servisse una polpetta avvelenata: è cambiato il menù del suo partito?». «No — risponde Andreotti —, ma sono diventato vegetariano». Scintille, scoppiettìi, episodi che resistono al tempo e danno la misura di una situazione, delineano un personaggio, disegnano in poche battute l'eie- ! ganza o la meschinità di un carattere. Due volumi: Il libro degli aneddoti di Fernando Palazzi (edizioni Vallardi) e II libro degli Aforismi a cura di Federico Roncoroni (Oscar Mondadori), sembrano fatti apposta per accompagnare il lettore al confronto e all'incontro. Nel primo, un lungo viaggio fra centinaia di episodi che hanno avuto come protagonisti i personaggi di tutti i tempi e di tutte le arti, da Diogene il filosofo all'ex presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan. Nel secondo, cinquecento pagine di massime, a cavallo di quattro secoli: dal gesuita Baltasar Graciàn, maestro di simulazione e sopravvivenza nella corte spagnola del Seicento, a Gesualdo Bufalino, Emile Cioran e Guido Ceronetti, campioni di feroce ironia per questi nostri anni di disincanto. «Gli autori di aforismi non hanno verità da imporre a nessuno, non intendono dissertare su come l'uomo dovrebbe essere e comportarsi — scrive il curatore della raccolta —. Descrivono l'uomo com'è, perché è negli scontri con gli altri e con la realtà che l'uomo viene a galla». Nei meandri impenetrabili della corte reale, fra le tinte in chiaroscuro di labirinti dove l'ambizione dei sudditi imbastisce trame e la ricchezza insegue il potere, l'uomo che aspira alla saggezza deve sapersi destreggiare per non soccombere agli intrighi. Epoca barocca, il Seicento, secolo di maschere e di finzioni. Baltasar Graciàn, predicatore di gran fama, frequentatore e conoscitore dell'ambiente di corte, detta le sue massime senza illusioni: «Si paga un tributo a tutti coloro ai quali si apre il proprio cuore». «La speranza è la più grande falsificatrice della verità». E ancora: «Non c'è cosa che richieda cautela più che la verità: dirla è come farsi un salasso al cuore. Occorre tanta abilità per saperla dire, quan- Leo Longane ta se ne richiede per saperla tacere». Massime che trasudano cinismo: «Trovare per ognuno il punto debole è l'arte di piegare al proprio talento le altrui volontà». «Per acquistare stima bisogna accostarsi ai più eminenti; una volta acquistata, bisogna stare fra i mediocri». Consigli ai megalomani: «Non c'è nessuno che si estenda oltre i ristretti confini assegnati all'uomo: tutti hanno il loro "ma", chi nell'ingegno, chi nel carattere». «Molti ci paiono grandi personaggi, finché non si abbia occasione di conoscerli da vicino». Consigli agli scrittori e anche ai venditori di fumo: «L'uomo prolisso è raramente saggio». «Bisogna parlare come si parla quando si fa testa- mento: meno parole, meno contestazioni». E dopo Graciàn, autore oggi al centro di una massiccia riscoperta (si ripubblicano le opere e resta fondamentale, per la sua conoscenza, il volume di Gianfranco Dioguardi Viaggio nella mente barocca, edito a Palermo da Sellerio), ecco le massime di La Rochefoucauld, le riflessioni di La Bruyère e di De Chamfort: «La giornata più perduta è quella in cui non si è riso». L'impeto di Novalis: «Nulla è per lo spirito più raggiungibile dell'infinito»; il ghigno di Oscar Wilde: «Ogni volta che la gente è d'accordo con me, provo la sensazione di avere torto»; il garbo di Ugo Ojetti: «Se vuoi assaporare la tua virtù, pecca qualche volta»; il veleno di Karl Kraus: «Una donna deve avere un aspetto così intelligente, che la sua stupidità si presenti poi come una piacevole sorpresa». Schegge di riflessione, idee sugli uomini e la vita che si caricano di forza nella brevità di enire» una frase o nel lampo di una battuta. Massime che realizzano l'armonia fra complessità del pensiero e essenzialità del linguaggio, sentenze che graffiano, consolano, stupiscono. Il libro degli Aforismi è una miniera ricca di filoni. E nell'esplorarne i cunicoli, nel tastarne le pareti, si incrociano percorsi che portano lontano. Lontano fra lampi di saggezza e ironia, frammenti di sarcasmo e fiamme di surreale. Ecco le battute e lo humor di Leo Longanesi: «Preferisco due parole a cento, — diceva — purché in quelle due parole sian riacchiuse le altre cento». Ironie folgoranti, surreali, caricature a volte malinconiche, quasi sempre irresistibili. «Un'idea che non trova un posto a sedere è capace di fare la rivoluzione». «Un'idea imprecisa ha sempre un avvenire». Oppure: «Le sue idee si accendono, crepitano, poi si placano alla seconda portata». «Un ribelle, ora, si calma non appena conquista il bagno». Non piaceva agli intellettuali, Longanesi. E del resto a Longanesi non piacevano gli intellettuali. «Il signore è uscito a sinistra, ma ritorna a destra per l'ora di cena: può richiamarlo più tardi». «A forza di vedute panoramiche, non trovò più il buco della sua serratura». Un giorno gli chiesero che cosa pensasse del problema del Mezzogiorno. «Ho risolto il problema del Mezzogiorno: pranzo all'una». Ma lei non crede proprio a niente? «Credo che domani non andrò fuori Milano». Fondatore di riviste, editore, giornalista, scopritore di talenti, Longanesi «era un uomo triste che sghignazzava per non singhiozzare, e — come ha scritto Indro Montanelli — aveva chiara la coscienza del fallimento di tutti i valori che difendeva». Si definiva «un'ideale mezza cartuccia». Ma le battute lasciavano il segno. Per gli artisti: «L'arte è un appello al quale in troppi rispondono senza essere chiamati». Per gli illusi: «E poi si resta soli, con una bandiera stinta in pugno, in un vicolo chiuso che sarà demolito dal piano regolatore». Per se stesso: «Sono un piromane che chiama sempre i pompieri». Mauro Anselmo Leo Longanesi: «Un'idea imprecisa ha sempre un avvenire»

Luoghi citati: Milano, Palermo, Prospero Lambertini, Stati Uniti