Così incontrai i Giubergia di Natalia Ginzburg

Così incontrai i Giubergia Così incontrai i Giubergia «Persone ammirevoli e rare che non vogliono rassegnarsi» E' da oggi in vendita il libro di Natalia Ginzburg «Serena Cruz o la vera giustizia», edito da Einaudi. Per concessione dell'editore pubblichiamo il brano sull'incontro della scrittrice con i coniugi Giubergia QUESTO che scrivo non è un saggio sulle adozioni, né ha minimamente la pretesa di esserlo. E' soltanto ima serie di appunti su diverse cose che mi sono venute in testa a proposito di Serena Cruz, dei Giubergia e di altri fatti a cui accennavano i giornali e che in certo modo si legavano alla vicenda di Serena Cruz. Quando ho cominciato a scrivere qualche appunto erano i primi di ottobre e adesso è dicembre. In ottobre, i Giubergia non li conoscevo. Non li avevo mai visti nemmeno in televisione, dove so che una volta sono apparsi. Mi aveva parlato di loro una persona che li conosceva un poco. Ma io non li conoscevo e non avevo mai preso il treno per andare a conoscerli. Non sono un giudice e non avevo dunque nessun obbligo di prendere il treno, ma poiché scrivevo su di loro cercando di immaginarmeli mi sembrava di doverli vedere e non avendoli visti mi sentivo colpevole. Così allora negli ultimi giorni di novembre ho preso il treno (vivo a Roma) e sono andata a Torino, poi nel pomeriggio a Racconigi con una macchina e con tre amici, che anche loro i Giubergia non li avevano mai visti. I Giubergia sono due persone ammirevoli e rare. Questa è stata la mia impressione. Li ho trovati molto simili all'immagine che avevo di loro, però migliori, perché nell'immaginarli non avevo intuito né la loro forza d'animo, né il loro equilibrio, né la loro grande pazienza. E tuttavia non ho saputo di loro molto di più di quanto già sapevo. Riguardo a Serena nella sua terra, e riguardo al momento in cui Francesco Giubergia si era trovato là per la seconda volta, mi hanno detto poco o nulla. E d'altronde io stessa, per imbarazzo e per discrezione, ho chiesto poco. Capisco e giustifico il loro riserbo. Penso che sia comprensibile che tacciano con estranei, su un argomento così delicato. E io ero un'estranea. Un'estranea che si era schierata con loro ma pur sempre un'estranea. Essi hanno speso e spendono tutti i loro risparmi in avvocati, perché gli sia restituita una bambina che non si rassegnano d'aver perso. Della morte ci si può consolare, essi dicono, ma di una perdita quale è stata questa non esiste consolazione. L'hanno amata come fosse stata una loro figlia di sangue. Pazientemente ancora aspettano che gli sia restituita. Proprio in questi giorni hanno saputo d'una coppia, alla quale era stata tolta una bambina peruviana adottata, portata via come a loro con l'acpusa di illegalità. Dopo nove mesi gli è stata restituita. Non potrebbe succedere anche a loro la stessa cosa? E' impossibile? è una speranza pazza, delirante, assurda? Ma il delirio è delirio quando non c'è stata, all'origine, un'azione disumana. Se c'è stata un'azione disumana non è delirio augurarsi che sia can¬ cellata. Significa aver fede che gli uomini si possano rivelare, alla fine, migliori e più giusti di quanto fossero apparsi. Ai Giubergia, i giudici hanno detto che Serena non la potranno riavere mai. Adottate pure degli altri bambini, gli hanno detto, ma Serena non la riavrete mai più. Idonei per altre nuove future adozioni, ma inidonei per questa? Come si fa a non chiedersi perché, dalla mattina alla sera? L'hanno amata come fosse stata una loro figlia di sangue. Cosa importa se non lo era? Sono preoccupati per la sua salute. Aveva disturbi, aveva i timpani perforati. Bisognava cullarla. Chissà se l'avranno curata bene? Loro le avevano fatto fare tutte le varie vaccinazioni, hanno ancora tutti i certificati, e nessuno, nel portargliela via, ha pensato a domandare se era stata già vaccinata. Non hanno domandato niente. Sembra un particolare irrilevante, ma è un bel segno di incuria. Nemmeno domandare se era stata vaccinata o no? (...) I Giubergia chiedono una perizia. Chiedono che la bambina sia esaminata da periti scelti da loro. Francesco Giubergia è ancora il padre della bambina, perché la bambina porta ancora il suo cognome. La perizia, egli ha diritto di chiederla. E' vero che i giudici non lo riconoscono come padre. Però a tutt'oggi è ancora il padre legale. Possibile che questo diritto non sia rispettato? Per tutto il tempo che sono stata da loro, Nazario è rimasto stretto alla madre. Lo turbava la nostra presenza. Penso ricordasse le visite delle assistenti sociali, che sedevano in cucina a bere il caffè, e poi gli avevano portato via la sorella. E' un bambino spaventato. All'asilo è andato per venti giorni, ma poi non ha più voluto andarci, per timore che di là qualcuno lo portasse via, lontano dai suoi, come era successo alla sorella. Al piano di sopra, c'è la stanza dove donnivano lui e la sorella, i due lettini di legno con la ringhiera. Ma lui là non ha più voluto dormire e ora dormono al piano di sotto tutti e tre, genitori e bambino. La casa è tranquilla, bassa, circondata di prati, una casa che sembra fatta perché i bambini vi crescano in pace. Li conoscono tutti in paese, i Giubergia, e tutti li amano, tutti hanno condiviso la lóro grande sventura. Se gli sono state mostrate avversioni e ostilità da altre parti, li ha però sorretti e aiutati l'amicizia e la solidarietà del paese. In cucina ci sono degli album di fotografie di Manila, l'albergo dove Nazario è stato portato quando aveva sette mesi, così sofferente e malato che non riusciva a mangiare e la madre adottiva passava ore a cercare di fargli inghiottire qualche briciola di cibo. Nell'albergo c'era l'aria condizionata, ma lui non la sopportava non essendovi abituato, gli era venuta subito la febbre alta. Così l'avevano dovuta spegnere. Era stato detto loro che, per essere giudicati idonei all'adozione, era opportuno che soggiornassero in un buon albergo, e a Rosanna Giubergia era stato consigliato di cambiare vestiti spesso. I ricchi sono favoriti nelle adozioni. Natalia Ginzburg

Luoghi citati: Manila, Racconigi, Roma, Torino