Tunnel della Manica, la Thatcher cede di Paolo Patrono

Tunnel della Manica, la Thatcher cede GRAN BRETAGNA Il premier autorizza (controvoglia) la Banca d'Inghilterra a tamponare il buco di bilancio Tunnel della Manica, la Thatcher cede Fondi pubblici per salvare il progetto dalla bancarotta LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Se questo tunnel sotto la Manica alla fine verrà completato, allora bisogna proprio dire che sarà stato più arduo superare le grane finanziarie e le rivalità personali piuttosto che le pur immense difficoltà naturali. L'ultima crisi è stata risolta con un intervento diretto del governatore della Banca d'Inghilterra. Con una accorta opera di mediazione, Robin Leigh-Pemberton è riuscito anzitutto a sbloccare i fondi per la prosecuzione dei lavori, poi ad attutire gli effetti di una lotta di potere con inevitabile terremoto fra i quadri dirigenti dell'Eurotunnel e infine a ridar fiducia a banche e azionisti boccheggianti per i continui aumenti dei costi. Inizialmente, la realizzazione del tunnel sotto la Manica per il transito degli speciali tre¬ ni-navetta per il trasporto passeggeri, auto e camion doveva costare 4,8 miliardi di sterline (circa 10,mila miliardi di lire). Invece, ora che lo scavo della galleria è giunto all'incirca a un terzo, i costi si sono impennati fino a 7,2 miliardi di sterline. Quasi il doppio del preventivo iniziale, che secondo le ultime stime verrà facilmente raggiunto e superato entro il '93, quando la galleria dovrebbe essere ultimata. La paurosa scalata dei costi ha innescato naturalmente un rimpallo di accuse e recriminazioni fra la compagnia anglofrancese delle dieci imprese costruttrici e il consorzio dell'Eurotunnel, con il corollario di fondi bloccati, richieste di penali, ricorso ai tribunali: insomma quelle situazioni caotiche che rischiano di insabbiare la realizzazione di un progetto avveniristico e complesso come quello della galleria sottomari¬ na. Negli ultimi giorni la situazione pareva precipitare dopo la richiesta di allontanamento presentata dal consorzio dei costruttori contro il co-presidente dell'Eurotunnel, Alister Morton, un inglese cresciuto alla ferrea scuola della Thatcher, intransigente nelle trattative, abituato a usare il contagocce nell'erogazione dei fondi alle imprese. Questa crisi si ripercuoteva naturalmente anche alla Borsa londinese, con un crollo delle azioni Eurotunnel e un'affannosa richiesta di capitali freschi davanti alla quale i principali azionisti (soprattutto giapponesi) cominciavano a dar segni di insofferenza. Tanto che il presidente del consorzio, il francese André Benard, si lasciava andare a una sconsolata constatazione: «Chissà se questo tunnel verrà mai finito». Da questa situazione di crisi scaturiva perciò l'intervento del governatore della Banca d'Inghilterra, che ha dimostrato implicitamente anche la preoccupazione e l'interesse delle autorità britanniche. Perché se è vero che il governo Thatcher, caparbiamente fedele alla sua dottrina, non intende iniettare capitale pubblico nel progetto, è altrettanto vero che non potrebbe più accettare la responsabilità anche indiretta di non aver mosso un dito per evitare il clamoroso fallimento del progetto. E anche se ieri il ministro dei Trasporti Parkinson ha ribadito ai Comuni che «non si ritiene necessario un intervento del governo in un problema di semplice management», in realtà l'interessamento della signora Thatcher è avvenuto, attraverso la Banca d'Inghilterra. Così i lavori proseguono. Paolo Patrono

Persone citate: André, Parkinson, Robin Leigh-pemberton, Thatcher

Luoghi citati: Gran Bretagna, Londra