Sulla crisi «guerra delle Rose» di Enrico Benedetto
Sulla crisi «guerra delle Rose» SVEZIA Ma si scopre che fu la confederazione «Lo» a sollecitare il divieto di sciopero Sulla crisi «guerra delle Rose» Il governo accusa: «Il sindacato ci ha tradith STOCCOLMA DAL NOSTRO INVIATO L'hanno già battezzata Guerra delle Rose. Strisciante sino a venerdì, ieri è esplosa ufficialmente. La combattono governo e sindacato, affratellati finora dal simbolo floreale ma ancor più da una lunghissima alleanza in nome del «Welfare State». Adesso, invece, sono carissimi nemici: ciascuno accusa l'altro d'aver propiziato il tonfo della socialdemocrazia svedese. Arduo dire chi vincerà. Entrambi, infatti, hanno comunque perso, lasciando nella crisi del 15 febbraio, oltre al potere, una buona dose di credibilità. Ad aprire il conflitto è stato l'ex ministro alle Finanze KjellOlof Feldt, uomo forte dell'economia svedese già sotto Palme e ora capro espiatorio dell'abortito piano anti-crisi. In una dichiarazione rilasciata al «Dagens Nyheter», il quotidiano liberal di Stoccolma, rimprovera la federazione sindacale «Lo» per una retromarcia sull'austerity che sa di tradimento. E con il loro silenzio, il premier uscente Carlsson quanto il resto dell'esecutivo paiono avvalorare le critiche. Dal suo ufficio di Barnhusgatan 18, Stig Malm per ora tace. Questo palazzotto gli svedesi lo chiamano «ros Vatikanen», Vaticano Rosa, perché ospita il più forte sindacato dell'Europa Occidentale. Vi appartengono 80 colletti blu su 100, con punte del 95% fra metalmeccanici e minatori, una percentuale insperabile altrove. Il «Papa» è un affabile manager sulla sessantina, capelli bianchi e abito scuro. Fino all'87, i suoi iscritti li obbligava a prendere la tessera della Sap, il partito di governo. Ora non più, ma il collateralismo fra le due organizzazioni è tale che quattro giorni fa ha destato impressione enorme l'intervista in cui Malm scaricava praticamente Carlsson: «Ci rammarichiamo per il frettoloso assenso dato alle misure anti-sciopero, che sono inaccettabili». Ieri la sorpresa è stata ancora maggiore perché finalmente emerge la vera storia di questa infelice austerity svedese. Il quotidiano del sindacato lascia, infatti, capire che fu paradossalmente la stessa «Lo» a sollecitare una messa fuori legge dello sciopero e il blocco dei salari, purché i prezzi restassero fermi due anni. Il governo non imponeva alcuna misura unilateralmente liberticida e neppure i dolorosi sacrifici della Realpolitik, come quasi tutti hanno scritto: l'inflessibile ricetta veniva dal paziente. Masochismo? No: la «Lands Organization» ha tentato in questo modo di rinegoziare la sua centralità, evitando quegli accordi settoriali che tanto l'avevano indebolita negli ultimi mesi. Unico responsabile apparente, il governo ha così pagato per tutti scontando colpe altrui, un'umiliazione bruciante giacché recava la firma degli altri gruppi parlamentari. Carlsson si vendicherà, dicono: Malm avrebbe i giorni contati e il silenzio nelle ultime ore annuncerebbe solo un'imminente notte dei lunghi coltelli. Con un suo eventuale ritiro andrà al tappeto l'«entrismo» del sindacato, un ambizioso progetto politico che solo 40 giorni fa aveva portato al ministero più «capitalista», l'Industria, il numero due della «Lo», Rune Molin. I lavoratori si ritrovavano come controparte un sindacalista: quale motivo poteva mai esserci a questo punto di scioperare? Dunque, «chi si astiene dal lavoro venga punito». Ma l'assioma — che quasi evocava un clima da socialismo reale — non ha convinto i lavoratori. Hanno iniziato i dipendenti municipali, rigettando l'iniziativa. Dietro, un po' tutte le categorie, finché — lunedì scorso — lo sciopero degli autisti ha obbligato al dietrofront Stig Malm, condannando a morte il governo. Ora, dopo le avvisaglie di «guerra civile» socialdemocratici-«Lo», potrebbe anche giungere il clamoroso divorzio. Ma, forse, vivranno da «separati in casa». Enrico Benedetto
Persone citate: Carlsson, Feldt, Fino, Palme, Rune Molin, Stig Malm
Luoghi citati: Europa Occidentale, Stoccolma, Svezia
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