La Cee artica fa gola ai baltici di Enrico Benedetto

La Cee artica fa gola ai baltici La Cee artica fa gola ai baltici «La Scandinavia è la nostra alternativa a Mosca» STOCCOLMA DAL NOSTRO INVIATO Quest'inverno, per la prima volta negli ultimi 40 anni, il Mar Baltico non è gelato: una delusione per gli schettinatoli e gli appassionati di ice-surf — la vela da ghiaccio — ma anche un segnale non solo meteorologico di tempi nuovi. Il Mare Nostrum di Svezia e Finlandia oggi non conosce infatti «fratelli separati» sulla sponda orientale. In pochi mesi, gli asfittici contatti della guerra fredda sono divenuti proliferi, raggiungendo un'intensità sconvolgente. Ne sanno qualcosa alla Sas, la compagnia di bandiera inter-scandinava, dove un'impiegata ricorda ancora con sgomento il trionfo del primo volo Tallinn-Stoccolma: «Mancava una settimana al decollo, e le prenotazioni erano cinquemila per cento posti, una follia». Adesso il collegamento è quadrisettimanale, più servizi Aeroflot e un battello giornaliero, sempre zeppo. Dietro il boom aero-navale, un'altra emergenza a livello diplomatico. La racconta Hans Olsson, primo segretario al ministero degli Esteri: «Quando l'anno scorso il Cremlino ha socchiuso la Cortina di ferro, a migliaia i baltici si sono riversati nella nostra rappresentanza di Leningrado. Bivaccavano giorni e giorni in strada. Così abbiamo chiesto di aprire un consolato a Tallinn per "motivi umanitari". Ma l'esodo non si arresta». Che cosa cercano nelle loro brevi puntate a Stoccolma? Non solo ricchezza o libertà e certo non lavoro giacché le porte dell'immigrazione sono chiuse. Forse, le radici. Per quasi due secoli, infatti, gli estoni sono rimasti i sudditi più leali della Corona svedese. E visti gli inquilini successivi, i russi, è rimasta loro una nostalgia del buongoverno svedese. «Non solo: dopo l'ultima annessione sovietica e sino a pochi mesi fa, la cultura baltica ha potuto sopravvivere solo attraverso la diaspora in Scandinavia». Juhan Kokla, un'ottantina d'anni e giornalista da 54, dirige l'«Eesti Pàevaleht», il giornale estone di Stoccolma che quotidianamente informa 25-30 mila esuli. Le autorità di Tallinn gli negano tuttora il visto ma il suo redattore-capo Ulo Ignats è appena tornato da un viaggio oltre-cortina. Spiega che per la prima volta anche i rifugiati voteranno nel Congresso Estone che il 18 marzo dovrebbe proclamare l'indipendenza nazionale. «Sarà una strada lunga e difficile», ma le tre minuscole Repubbliche del Baltico non vogliono affrontarla in solitudine: «Ci occorre l'ombrello scandinavo, per esempio attraverso l'ingresso nel Consiglio Nordico». L'idea di farsi cooptare nella «Cee artica» che dal '53 federa Copenaghen, Oslo, Stoccolma, Helsinki e Reykjavik in alcuni settori, non spiace ai quattro politici estoni — due sono parlamentari a Mosca — e neppure al delegato lituano che oggi interverranno nel Forum Europeo sull'Ambiente indetto dai Gròna, i Verdi. Come mai? Spiega Kokla: «Un'eventuale adesione soddisferebbe quasi tutti i 12 partiti oggi esistenti a Tallinn, salvo ovviamente l'Interfront che nasconde interessi russofili. Non significa pregiudicare in alcun modo la sovranità nazionale: semplicemente ci allontaneremmo da Mosca senza finire nelle braccia del blocco occidentale. Al Cremlino potrebbe andare bene». La prospettiva è futuribile ma non troppo se il «Financial Times» l'ha adottata disegnando una fanta-carta dell'Europa ventura. Febbre o utopia, l'affaire Baltico oggi rappresenta comunque una sfida impegnativa per la diplomazia svedese, più abituata a schierarsi sui diritti civili in Salvador o Israele che non a limare le unghie dell'orso sovietico. Non a caso una realistica Stoccolma aveva riconosciuto quasi subito, nel '41, la legittimità delle nuove frontiere russe, e c'è voluta la clamorosa marcia degli esuli in ottobre per far dichiarare al ministro Andersson che appoggerà l'autodeterminazione baltica. La Svezia, insomma, comincia a uscire timidamente dal ghetto per guardarsi attorno. Con il suo prestigio e un'invidiabile posizione geografica, egemonizzerebbe senza problemi la nascente comunità inter-baltica. Ma esita ancora. Dice Olsson: «Guardiamo le cose in faccia. Che cosa possono venderci oggi i lituani, o magari i polacchi della costa Nord, per ripagare eventuali investimenti? L'integrazione ci sarà, ma non a tappe forzate». I Baltici non devono insomma attendersi un Piano Marshall in versione svedese. Ma 220 miliardi di aiuti sono già pronti: andranno alla tutela della natura, il bene più prezioso nell'etica scandinava. Enrico Benedetto

Persone citate: Andersson, Hans Olsson, Juhan Kokla, Olsson