«Il governo non è tutto» di Augusto Minzolini

Intervista con il ministro della Difesa, leader della sinistra de Intervista con il ministro della Difesa, leader della sinistra de «Il governo non è tutto» Martinazzoli: c'è il diritto a dissentire mento del partito comunista, del suo potere, una volta sacrale, e delle sue liturgie. In pratica il XXVIII congresso, quando si terrà, si troverà di fronte a un fatto compiuto e non potrà che ratificarlo. Evidentemente Gorbaciov considera chiusa la partita, per quanto riguarda il pcus, col Plenum del 5-7 febbraio e d'ora in avanti farà affidamento sugli organi dello Stato, su quel Congresso dei deputati del popolo, e su quel Soviet Supremo che ne è l'espressione, che egli stesso ha voluto come strumenti primari d'iniziativa politica, e come embrione di democrazia politica, nella prima fase della sua riforma costituzionale. Detto tutto questo, bisogna domandarsi perché Gorbaciov abbia tanta fretta. E la risposta è ovvia. Egli teme che la situazione gli sfugga di mano. E gli sfuggirebbe di mano di sicuro, se egli continuasse ad affidarsi alle procedure classiche e stantie del vecchio potere sovietico, di quel potere che era concentrato appunto nel vertice del partito comunista e nel suo sonnolento, torpido apparato. La nuovissima crisi nel Tajikistan, tra musulmani armeni e russi, dice o meglio conferma che tipo di polveriera sia ormai diventata l'Unione Sovietica sotto il profilo dei contrasti etnici. E naturalmente c'è sempre la secessione dei baltici in agguato. E c'è la crisi dell'Azerbaigian, chiusa o tamponata a fatica con l'intervento dell'Armata Rossa e al prezzo di molte vite umane. Reparti dell'esercito sovietico sono ora impegnati anche nel Tajikistan. Deve preoccupare non'poco Gorbaciov, nonostante le apparenze, anche la situazione internazionale. Si fa presto a dire che il leader sovietico è d'accordo sulla riunificazione delle due Germanie e che praticamente o in cuor suo ha già rinunciato anche alla condizione della neutralità del futuro Stato te desco unificato. L'uscita della Germania Orientale dal siste ma di sicurezza costruito dall'Urss dopo la Seconda guerra mondiale non è cosa di poco conto, e il capo dei conservato ri, Ligaciov, lo ha ricordato a Gorbaciov nella riunione del Comitato centrale. Lo stesso Gorbaciov disse una volta a Mitterrand (lo ha rivelato «Le Monde»): «Il giorno in cui per dessimo la Germania Orienta le, un maresciallo verrebbe a sedersi sulla mia poltrona». Questo non sarà più vero, an che i marescialli possono rassegnarsi all'ineluttabile, ma la questione tedesca peserà sul di battito interno sovietico, tanto più che si aggiunge allo sfaldamento delle posizioni dell'Urss in tutto il resto dell'Est europeo. E poi c'è l'eterna crisi economica, che non dà certo segni di miglioramento, così come non migliora in conseguenza l'umore della gente. Gorbaciov ha un bisogno estremo di far emergere i primi risultati della perestrojka in campo economico, e anche questo non può farlo se è frenato oltre misura dalle resistenze del partito. Quanto all'umore della gente, si va manifestando in vari modi, fra l'altro con una serie di manifestazioni di piazza in varie città dell'Unione, ciò che ha indotto a parlare di «rivoluzione dal basso» dopo quella «dall'alto» di Gorbaciov. Queste manifestazioni possono essere un aiuto alla perestrojka, ma possono trasformarsi anche in un contributo al caos. Per tutti questi motivi Gorbaciov ha capito che non può che accelerare al massimo la sua riforma. Resta da vedere se glielo consentiranno, anche se finora ha finito sempre per avere ragione. MRsfies ROMA. «Io penso che su questioni come le regole per l'informazione o le leggi elettorali, il nostro confronto dovrebbe essere più ravvicinato e più rischioso con gli alleati. Questo non significa necessariamente una crisi di governo. Ma d'altra parte, la nostra ragione nell'alleanza di governo, non può essere soltanto la sopravvivenza» Nel corridoio dei passi perduti Mino Martinazzoli, spiega i motivi che spingono la sinistra de a far valere le proprie ragioni nel confronto con Arnaldo Forlani. Il ministro della Difesa elenca i motivi e racconta un divorzio ormai deciso, senza pene, che non potrà risolversi in una sceneggiata. Ministro, dica la verità: non c'è il rischio che alla fine tanti giri di incontri portino come altre volte al solito papocchio, che anche quest'ultima sortita della sinistra finisca a tarallucci e vino? Vede, chi segue questa vicenda come un seguito di incontri più o meno furtivi, di compromessi, di fantasie, rischia di non capirla. La sinistra de non ha posto una sfida, ma una riflessione per il nostro futuro che non si può concludere nel prossimo Consiglio nazionale. La fase che abbiamo aperto deve coinvolgere tutto il partito al di là delle dislocazioni e dei ruoli. Lo avete detto altre volte e avete fatto marcia indietro. E se anche stavolta non doveste arrivare a un risultato? Se tutto fosse un gioco sarebbe deprimente. Certo è difficile. C'è troppa voglia di semplificare la politica sul piano di chi vince la tappa o di chi perde il giro. D'accordo, ma intanto ci sono le vostre dimissioni che stridono con la scadenza delle elezioni... Troveremo strumenti, metodi transitori per far fronte alle responsabilità che tutti abbiamo per le prossime elezioni. Ma dovremo chiarire anche un'altra cosa: in un partito democratico un'idea può convincere tutti, ma può accadere anche che non sia così. E' giusto prendere sul serio le nostre ragioni, ma non sarebbe giusto drammatizzare troppo il fatto che in una certa fase vi siano posizioni diverse nel partito. Lo dice uno che rivendica più di altri l'idea che in un partito bisogna tendere all'unità. Ma proprio perché credo a questo processo credo che sull'unità si possono costruire le distinzioni. Del resto da un po' di anni nel nostro partito ci si iscrive prima alle correnti e poi alla de. Per cui è difficile ricercare l'unità. Un divorzio senza drammi, restando separati in casa? Io rivendico la possibilità di dissentire per far valere non le mie ragioni ma quelle che penso debbano essere quelle di tutta la de. Non c'è nulla di eversivo. Le cose serie non hanno bi¬ ll ministro Mino Martinazzoli sogno di drammi, son cose serie. Vanno rispettate e non vanno denunciate come una iattura, né ci si può dire che in questo modo mettiamo a rischio le fortune della de. Ma le ragion della vostra distinzione, a parte la legge sull'antitrust editoriale, non sono chiare. Se avete la stessa linea politica, che cos'è che vi divide? Il problema non è tanto un calcolo sulle nostre fortune immediate. Bisogna riflettere sulle novità introdotte dalla crisi del sistema dell'Est e insieme sul ruolo che la sinistra de ha avuto sempre all'interno del partito. Siamo stati noi a porre fin dalle origini, penso a Moro, il problema del rapporto con il psi e dell'allargamento dell'area democratica. E oggi non poniamo certo la questione dei rapporti con il psi in termini di fastidio: crediamo, ad esempio, che non sia invincibile l'indifferenza che il psi sembra avere su temi cruciali come quello delle regole dell'informazione. Ma se fosse così questo dovrebbe risultare più chiaro. Dovrebbe essere più visibile che l'opinione della de è diversa da quella del psi. L'alleanza di governo perde forza non se discute ma se perde capacità di risolvere i problemi. E mi sembrerebbe incomprensibile che il psi possa coltivare una strategia per il futuro che renda inconcludente il presente. Ma tutto questo, onorevole, basta a spiegare la vostra rottura? O non c'è, come dicono i più maliziosi, anche qualche ragione di peso interno a motivare il vostro Aventino? Più che il potere, credo sia una legittima preoccupazione sullo stato del partito, al centro e in periferia. Credo che ci sia bisogno di una leadership autorevole, di una gerarchia dei comandi. La sensazione è che anche le migliori intenzioni dei capi si trovino di fronte le inerzie riottose dei gregari. Chi è capo, se c'è una forte leadership, dovrebbe farla valere. Augusto Minzolini

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