Scontro per la discarica sulle Alpi di Vincenzo Tessandori

Scontro per la discarica sulle Alpi La Confederazione vuole seppellire nel Canton Ticino le scorie di cinque centrali Scontro per la discarica sulle Alpi Rifiuti radioattivi, il 22 vertice Italia-Svizzera MESOCCO (Svinerai DAL NOSTRO INVIATO L'idea è una grande pattumiera. Dovrebbero costruirla in una galleria ai piedi del Piz Pian Grand, 2689 metri di rocfla fra le valli Mesolcina e Calanca, sulle Alpi di confine con l'Italia. La neve fresca e il silenzio regalano una sensazione di pace, di sicurezza anche. Lì vicino ci sono i campi da sci, molto frequentati dai milanesi. Eppure, si dice, proprio qui intenderebbero seppellire i problemi delle cinque centrali nucleari svizzere che sorgono nel triangolo fra Berna, Basilea e Zurigo. Da oltre confine gli italiani protestano per il rischio di una contaminazione che potrebbe avvenire attraverso il Moesa e il Ticino fino al Po e all'Adriatico. E ricordano il rifiuto del nucleare, che non pare interessar molto da queste parti dove, dieci anni fa, decisero di percorrere la strada opposta. Questo non significa che le vicende del nucleare siano popolari, tant'è che le ricche società elettriche elvetiche hanno solo piccole quote nella proprietà delle centrali la cui produzione copre il 15-18 per cento del consumo energetico elvetico: preferiscono investire negli impianti nucleari francesi e, infatti, gli svizzeri sono al 40 per cento nel consorzio di Creys Malville, vicino a Ginevra. Dunque, da parte italiana si è alzata la voce e dall'altra ci si è subito dichiarati disponibili a qualsiasi discussione perché nessuno, si garantisce, vuol intaccare i rapporti di buon vicinato. E, forse, anche perché non risulterebbe troppo popolare prendere posizioni rigide su temi tanto imbarazzanti. Un primo passo, dopo la «querelle» a distanza fra politici italiani e svizzeri, sarà compiuto giovedì 22 febbraio a Berna quando, informano dal ministero dell'Ambiente, s'incontreranno il consigliere Adolf Ogi, capo del Dipartimento elvetico per i trasporti, le comunicazioni e l'energia e Giorgio Ruffolo, ministro dell'Ambiente. Confinare con una discarica e per di più radioattiva non piace a nessuno. A dispetto di tutte le garanzie, la gente non gradisce e, se non proprio spaventata, appare preoccupata per l'idea che si vogliano stipare le scorie nel cuore della montagna. Bill Arigoni, deputato al Gran Consiglio Ticinese, ha chiesto al governo d'informare «la popolazione ticinese di come siano i termini esatti di questo problema». Il governo temporeggia. Forse perché non è facile dare una risposta rassicurante. In fin dei conti al problema era stata trovata una soluzione accettabile: da anni gran parte delle scorie vengono dirottate in Francia e a Sellafield, in Inghilterra, il resto è sepolto presso gli impianti. Il guaio è che l'accordo scadrà fra due anni e, da quel momento, qui in Svizzera correranno il rischio di non sapere dove stivare i residui atomici. Con previdenza elvetica, da tempo si fanno ricerche. La Cisra, una ditta di Baden specializzata nell'immagazzinare le scorie, ha compiuto sondaggi, trapanazioni, indagini. Ha preso in esame quattro località e i tecnici hanno perforato il terreno e costruito una galleria all'Oberbauenstock, nel Cantone di Uri, due a Ollon, nel cantone di Vaud, l'ultima al Piz Pian Grand. Ma non sembra semplice trovare un luogo idoneo. Per iniziare le ricerche la Cisra do vette accettare una serie di vincoli idrologici, geologici e si smici. Le prove, tuttavia, alme no al Piz, furono interrotte an zitempo. Perché i risultati ottenuti fino a quel momento erano più che soddisfacenti, insomma, la roccia avrebbe dato la massima garanzia, fecero sapere dalla Cisra. Di parere opposto si è sempre dichiarato Rudolf Gartman, ingegnere capo dell'ufficio per la protezione dell'ambiente del Cantone dei Grigioni. La prosecuzione delle ricerche, sottolinea, «avrebbe reso evidenti le ragioni geologiche che rendono assolutamente sconsigliabile l'ubicazione di un deposito al Piz Pian Grand». Ma il 1992 si avvicina in fretta e occorre trovare una soluzione al problema. La Cisra, che ha ripetuto di considerare il proprio lavoro «un compito d'importanza nazionale», due anni fa chiese al Dipartimento federale dell'energia il permesso di poter iniziare lo scavo di un secondo tunnel, «sempre per ragioni di studio». Sarebbe stato lungo, si disse, fra i 4 e i 10 chilometri. Il timore diffuso è che, una volta iniziati i lavori, ci si guarderà bene dall'interromperli nuovamente. Insomma, col pretesto di nuove prove si camufferebbe la costruzione della «tomba nucleare». E' un business gigantesco. Iniziai mente la spesa era di 45 milioni di franchi, poco meno di 45 miliardi, ma ora si parla di cento milioni e, secondo alcuni, il la voro ultimato toccherebbe il miliardo di franchi. Vincenzo Tessandori

Persone citate: Adolf Ogi, Berna, Bill Arigoni, Calanca, Giorgio Ruffolo, Rudolf Gartman