Rivolta dei falchi contro Shamir

Rivolta dei falchi contro Shamir Aggredito il premier, Sharon si dimette: il governo impotente con i terroristi Rivolta dei falchi contro Shamir Rissa alla riunione del Likud TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Il Likud, il partito di maggioranza relativa guidato da Shamir, si è clamorosamente spaccato di fatto quando il suo comitato centrale è stato convocato ieri a Tel Aviv per esprimere fiducia al premier e consentirgli di portare avanti l'attuale iniziativa di pace. All'apertura della seduta il presidente del comitato centrale e principale rivale di Shamir, il «falco» Ariel Sharon, ha lasciato sbigottiti gli oltre tremila delegati annunciando drammaticamente le sue dimissioni dal governo che, ha detto, «non riesce ad arginare il dilagare del terrorismo arabo omicida». Trovatosi sbilanciato di fronte all'ondata di emozione sollevata da Sharon, Shamir ha dapprima letto un discorso in cui confermava le sue note posizioni di chiusura su qualsiasi possibilità di un dialogo con l'Olp e sulla costituzione di uno Stato palestinese e poi, infrangendo un impegno assunto in precedenza, ha chiesto che il partito esprimesse subito piena fiducia sulla sua persona e sulla sua linea politica. Ma Sharon glielo ha impedito chiedendo, da un microfono situato all'altro capo del tavolo della presidenza, che il partito votasse per «la liquidazione del terrorismo» e contro l'inclusione di palestinesi espulsi dai territori nella delegazione che negozierà con Israele le modalità di elezioni generali in Cisgiordania e a Gaza. Migliaia di mani si sono allora sollevate in alto, ma nella confusione generale non era chiaro cosa volessero esprimere. A votazione compiuta Shamir ha ringraziato per la «massiccia fiducia» espressa nei suoi confronti e ha chiuso la seduta in gran fretta senza che i 25 oratori iscritti a parlare dopo di lui potessero prendere la parola. Ma Sharon ha visto invece nella votazione «un'inequivocabile conferma» della volontà del partito che, dopo due anni, l'Intifada fosse finalmente liquidata. Uscito dall'aula Shamir è stato aggredito da due delegati che sono stati poi allontanati a forza dalle sue guardie del corpo mentre alcuni attivisti lo sollecitavano a gran voce a dimettersi. A dibattito concluso sia il leader che la sua fazione rivale sostenevano di essere usciti vittoriosi. «Non credo che ci sarà una scissione — ha detto Shamir —, ma Sharon non può certo restare nella sua carica di presidente del comitato centrale. Ha compiuto un gesto disperato per imporre la sua volontà al partito, ma ha fallito». Gli eventi del Likud hanno colto impreparata l'altra importante componente del governo di unità nazionale, il partito laborista, che è stato convocato d'urgenza per stabilire se sia rimasta qualche speranza di portare avanti il processo di pace. Mentre il ministro della Difesa Yitzhak Rabin riteneva che il discorso di Shamir avesse lasciato al governo un margine di manovra sufficiente e consigliava di temporeggiare per consentire a Shamir di riprendere le redini del suo partito, il vicepremier Peres trovava negli eventi di ieri un'ulteriore conferma che l'attuale governo ha esaurito il suo compito. Più che sull'ideologia Shamir e i «falchi» del Likud si sono scontrati ieri sulla prassi politica e sul modo di condurre i contatti diplomatici con Stati Uniti ed Egitto per portare avanti il processo di pace. Nonostante che nel luglio scorso Shamir si fosse impegnato a difendere una serie di rigidi princìpi, hanno sostenuto i «falchi» nelle ultime settimane, questi ha dovuto poi cedere una posizione dietro l'altra in seguito alle pressioni di Washington e dei laboristi israeliani. Con la seduta di ieri Sharon intendeva dunque «inchiodare» il premier ad almeno tre chiari impegni: impartire l'ordine della liquidazione definitiva dell'Intifada; garantire l'esclusione di Gerusalemme Est dalle ventilate elezioni nei territori occupati; impedire la partecipazione dell'Olp a un negoziato di pace attraverso l'inclusione nella delegazione palestinese di esponenti espulsi dai territori occupati. Ma accogliendo queste posizio- ni Shamir avrebbe probabilmente posto subito fine non solo alla mediazione di pace del segretario di Stato Usa James Baker ma anche al governo di unità nazionale. Nella sua lettera di dimissioni Sharon ha accusato il governo israeliano di non fare tutto il possibile per reprimere la rivolta palestinese. «Potremmo riportare l'ordine in pochi giorni — ha scritto —, ma il governo israeliano lascia che il terrori¬ smo arabo imperversi e consente ai suoi capi di operare in piena tranquillità a Gerusalemme Est. Non mi sento più in grado di arrestare la frana sedendo al governo. Ho deciso quindi di dimettermi e di continuare la lotta come ebreo e come deputato. E' ormai scoccata l'ultima ora». Le dimissioni di Sharon entreranno in vigore mercoledì. Nel frattempo i «falchi» del partito cercheranno di dissuaderlo. [f. a.l Sharon, leader dell'ala dura del Likud, annuncia le dimissioni

Luoghi citati: Cisgiordania, Egitto, Gaza, Gerusalemme, Gerusalemme Est, Israele, Stati Uniti, Tel Aviv, Washington