La Pantera: no alla violenza di Giovanni Bianconi

La Pantera: no alla violenza Durante la cerimonia per Bachelet contestato un professore socialista La Pantera: no alla violenza Sapienza, fischiato l'autonomo Pifano ROMA. Università La Sapienza, facoltà di Scienze politiche, aula A. Davanti ad un migliaio di studenti, nel microfono dove qualche giorno prima ha parlato l'ex-brigatista Grugnoni, Carole Beebe Tarantelli legge le parole pronunciate da Giovanni Bachelet ai funerali del padre: «Sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri». Un applauso scrosciante riempie l'aula per oltre un minuto. Dopo qualche intervento, chiede la parola Pio Marconi, esponente del psi, professore universitario. «A me hanno insegnato che solo la verità è rivoluzionaria», esordisce, e tutti si dispongono all'ascolto. Subito dopo aggiunge, riferendosi all'episodio dell'ex-brigatista che ha partecipato all'altra assemblea: «E' stato un fatto molto grave, come se a Bucarest si facesse parlare un torturatore della Securitate». L'assemblea insorge. Fischi contro Marconi, urla contro chi fischia, il docente che continua a parlare, rosso in volto, senza riuscire a farsi sentire. Dice ancora qualcosa sul clima di intimidazione e di intolleranza che a suo giudizio c'è nell'università occupata, che il movimento si dichiara non violento ma poi lascia parlare solo chi vuole lui. E se ne va. Ancora fischi e boati verso il professore, qualche spintone tra gli studenti. Il quotidiano socialista Avanti! definirà l'epi¬ sodio «di una gravità inaudita». Un paio di interventi più avanti ecco Paolo, inveterato rappresentante di Autonomia operaia. Già qualche suo compagno, in precedenza, era stato accolto con fischi e «vattene». Grida che non tutti hanno il diritto di parola, chi è contro gli studenti non può esprimere le proprie opinioni. E poi che non è il caso di commemorare Bachelet: «I morti da celebrare sono altri, le vittime delle stragi di Stato e della violenza dei padroni nelle fabbriche». Ancora fischi, urla, insulti. Anche l'autonomo è costretto ad abbandonare il palco. Passa un po' di tempo e prende la parola Carlo, secondo anno fuori corso a Scienze politiche. «Sono un po' schifato da questa assemblea, dove per colpa di 50 persone gli interventi vengono interrotti da fischi e boati. Se volete fare così, andate in tv alla trasmissione di Funari». Applausi. «La non violenza va praticata sempre, con tutti e senza condizioni», aggiunge prima di buttare lì la sua provocazione: «Al prossimo seminario invitiamo Gelli, così Andreotti, Berlusconi e il Tg2 saranno contenti e finalmente diranno che siamo dei bravi ragazzi». Ancora applausi. L'assemblea «di riflessione» sul terrorismo e gli Anni Settanta, a dieci anni dall'assassinio di Bachelet, è tutta racchiusa in questi quattro fotogrammi. Il movimento degli studen- ti, dopo le polemiche seguite alla presenza dei brigatisti nell'università, aveva chiamato a raccolta le vittime del «partito armato». Ma Giovanni Bachelet e Giovanni Moro non sono venuti perché impegnati altrove. Al di là degli interventi che suscitano insofferenze e reazioni emotive — mettendo a nudo anche contraddizioni e intenti provocatori — tutti sottolineano che bisogna far tesoro di quel periodo. Per non ripetere gli errori del passato, per non trovarsi stretti nella forbice di chi spara e delle leggi di emergenza, per fare della non violenza «uno strumento nuovo di lotta politica». Gli studenti ascoltano in silenzio Carole Tarantelli quando spiega: «La violenza ha cambiato il corso della mia vita, mi è difficile parlarne. Da quando le Br hanno ammazzato mio marito ho sempre pensato che è facilissimo distruggere in un attimo quello che invece si costruisce con anni di fatica. Ne ho discusso anche con gli ex-terroristi: la violenza non porta da nessuna parte, praticandola si perde ogni contatto con la realtà e si finisce per ottenere risultati che non hanno niente a che vedere coi progetti da cui si è partiti». Prima di lei Stefano Rodotà, ministro della Giustizia nel governo ombra del pei, aveva smontato la teoria esposta dal brigatista venuto all'università, quella secondo cui la lotta armata non è stata altro che la risposta alla violenza dello Stato. «Non è vero — ha detto Rodotà — che non c'era alternativa, ricordatevi che le Br fecero il sequestro Sossi alla vigilia di uno dei momenti più significativi della democrazia italiana, il referendum sul divorzio». E Franco "Russo, ex4eader del Sessantotto: «Nel nòstro movimento c'era contiguità con la lotta armata, perché si pensava di rispondere con la violenza a quella che chiamavamo violenza dello Stato. Abbiamo sbagliato, e il terrorismo ha finito per togliere la parola ai movimenti. Voi avete rotto quella contiguità». Gli studenti ascoltano, prendono appunti, applaudono. E fischiano l'ex-autonomo Daniele Pifano, con i capelli e la barba imbiancati, quando afferma che la violenza è stato un fatto inevitabile in una Repubblica nata dalla guerra partigiana. Dicono che loro, all'alba degli Anni Novanta, vogliono evitare in ogni modo di cadere sia nella spirale degli Anni Settanta che nel riflusso degli Anni Ottanta. Il moderatore del dibattito lamenta che nessuna donna è intervenuta, ed ecco che, improvvisamente, si susseguono al microfono anche le studentesse. Ed è proprio una di loro a lanciare l'appello finale: «Lunedì mattina ognuno dei presenti porti un fiore sotto la lapide dov'è stato ucciso Bachelet». Si alza l'ultimo, lungo applauso. Giovanni Bianconi Assemblea infuocata. Il professor Marconi (Magistero), discute con il deputato (sin. indipendente) Stefano Rodotà

Luoghi citati: Bucarest, Roma