LA RIVOLUZIONE CHE FU

LA RIVOLUZIONE CHE FU LA RIVOLUZIONE CHE FU Majakovskij e gli altri: futurismo russo in una mostra a Varese Opere e documenti raccontano due decenni di grande creatività georgiano come Stalin, si suicidò a Mosca nel 1930 a trentotto anni. Per il rivoluzionario e poeta, che Rozkov nel trittico di fotomontaggi del 1925 presenta come strillone di giornali o addirittura come megafono urlante poesia e costruzione del socialismo Agli operai di Kursk, era una morte necessaria ed emblematica: morte di quel tempo, della verità, del cuore. Per l'Io Majakovskij, che si rivolgeva al mondo «in prima persona» — ancora Pasternak — in nome degli oppressi, del sale della terra, prima dell'Ottobre rosso e in nome della Rivoluzione di Lenin dopo, questo è certo. Ma quella morte emblematica vedeva, prevedeva anche in anticipo di quarant'anni il 1989 dal Caucaso al Baltico, da Berlino a Sofia? Per coloro per i quali questo 1989 è la prova definitiva che quella «novità del tempo», quella verità del cuore erano illusorie e tradite fin dalle loro radici, questa mostra a Villa Mirabello può forse confermare una tale preveggenza. Essa fa trasmigrare dal Museo Statale della Letteratura di Mosca fino al 4 marzo 229 opere e documenti di ogni tipo (persino una poltrona di Tatlin in cuoio e metallo che nel 1920 anticipa e prefigura ogni «design» industriale), ruotanti intorno a Majakovskij e alla rivoluzione culturale russa del secondo e terzo decennio del '900. Per altri, che con la mente e anche col cuore rifiutano una cultura, o meglio anticultura, della «morte della storia», la mostra può significare l'opposto, addirittura una speranza. Non è certo una mostra «facile», ad esempio a confronto con la grande rassegna di pittura e scultura del Lingotto. Con la logica prevalenza dell'immagine con scrittura (e sia pure con tutta la magia manoscritta e tipografica intrinseca alla poetica futurista e poi costruttivista: Majakovskij stesso, Rodcenko, Lisickij, Larionov, Krucenych, la Rozanova, Kul'bin), le lettere cirilliche riportano il visitatore addirittura all'analfabetismo. Ma proprio per questo il riguardante «latino» può cogliere tutta l'efficacia vitale e rivoluzionaria della visualità elementare dei famosi cartelloni rivoluzionari del poeta-propagandista per la Rosta, l'Agenzia telegrafica russa, e prima ancora delle litografie a colori popolari (i «lubok») del 1917, erroneamente datate 1914 — ma solo in catalogo —: gli uni e le altre rivolti primariamente al popolo rivoluzionario analfabeta. Per chi ha già conoscenza di cultura e letteratura russa, fotografie e libri, manifesti e riviste «mitici» offrono uno spettacolo straordinario, tra futuristi, simbolisti, formalisti, prolet- kultisti: accanto all'inesausto «motore» di cultura rivoluzionaria, Krucenych e Chlebnikov, Jakobson e Livsic, Pasternak e Esenin, Sklovskij, i Burljuk e O. Brik, Blok e Sologub. L'amatore d'arte rivede ancora una volta, sulla copertina dell'apposito libretto di Punin, la sintesi grafica del Monumento per la Terza Internazionale di Tatlin; ammira per la prima volta, dello stesso Tatlin, un disegno del fondamentale autoritratto simbolico II marinaio del 1912 e gli affascinanti schizzi scenici e di costumi di Malevic per la Vittoria sul sole del 1913. Ammira per la prima volta una sufficiente rassegna pittorica di un protagonista dell'avanguardia futurista, David Burljuk, e scopre un grande disegnatore espressionista fantastico, Cekrygin, morto nel 1922 a 25 anni. Ma credo che il visitatore, che poco o nulla ha letto della sbandierata morte delle ideologie, potrà intuire e sentire oscuramente ma vitalmente promanare da quelle carte e cartoncini «poveri», da quegli sbiaditi rossi e neri tipografici, una verità e amore di rivoluzione che nessuno e nulla potrà seppellire. Non ci riuscirono né Stalin né Hitler, anche grazie al sacrificio di Majakovskij. Marco Rosei Igino Legnagli!: «(ìiobbe» Catalogo Berenice Art Books. Da ieri. Altre mostre Monza. Guido Tallone. Nel Serrane della Villa Reale, a cura dei Musei Civici, ricordo di un pittore lombardo, morto oltre 20 anni fa e rimasto fedele ad una matrice ottocentesca. Da ieri. Roma. Gillo Dorfles. Alla Galleria Editalia, dipinti dello scrittore di estetica e critico d'arte, presentati in catalogo da Alberto Boatto. Dal 31 gennaio. Milano. Vittorio Matino e Antonio Trotta. Al Pac, uno dei consueti «duetti». Questa volta tra un pittore astratto e un artista «concettuale». Fino al 15 marzo. Milano. Antonio Paradiso. Alla Galleria Avida Dollars, lavori di uno scultore di origine pugliese che indaga i rapporti arcaici tra natura e cultura. Fino al 20 febbraio. Bologna. Post Arte Fiera. Approfittando di Arte Fiera, raffica di inaugurazioni. Alla Fabjbasaglia, Dennis Oppenheim; a Spatia, Claudio Olivieri; allo elsi» ( I9S9)