La Storia va all'asta
La Storia va all'asta La Storia va all'asta Sarà «battuto» il 22 marzo dalla «Phillips» di Londra il telegramma con il quale, nel 1922, il re incaricò Mussolini di formare il governo LONDRA. Sempre più di frequente la storia viene «venduta all'asta». C'è da domandarci come mai tanti documenti sfuggano ad archivi di Stato, a Centri di documentazione storica e a musei, per finire quasi sempre in mano a privati collezionisti. L'ultimo «lotto» che non può non suscitare interesse, è il telegramma con cui Vittorio Emanuele III incaricò nel 1922 Mussolini di formare il governo. Con altri cimeli storici, sarà «battuto» nell'asta del 22 marzo dalla Phillips di Londra. Secondo gli esperti, visto il momento particolarmente felice per documenti del genere, il telegramma potrebbe raggiungere almeno le 10 mila sterline, pari a 22 milioni di lire italiane. La stima è già, del resto, fra le 8 mila e le 10 mila sterline. Il telegramma, contraddistinto dall'indicazione Urgentissimo, è firmato in nome del re dal suo aiutante di campo, generale Cittidani, spedito da Roma a Milano con priorità assoluta il 28 ottobre 1922, giorno della «marcia su Roma». E' registrata anche l'ora della consegna a Mussolini, poco dopo le 21,30. Altra rarità è la carta d'identità di Mussolini del 1913, con la sua firma su una foto che lo mostra con baffi e capelli, all' epoca in cui era ancora socialista. La valutazione è di mille sterline, pari a 2,2 milioni di lire. Tra i documenti autografi vi sono il testo di un discorso di Mussolini al senato nel 1925 e varie lettere, tra cui una indirizzata all' ambasciatore in Germania Dino Alfieri in cui il «duce» confessa di aver dato un ben piccolo contributo alla patria nella prima guerra mondiale, come soldato semplice. Sempre a Londra, verrà venduto all'asta in aprile un archivio trovato nei depositi di una banca che ha gettato nuova luce sullo sterminio dello zar Nicola e della sua famiglia a Ekaterinburg, 72 anni fa. Le circostanze del massacro erano sempre rimaste avvolte nel mistero. Secondo la versione ufficiale, erano stati i ribelli bolscevichi ad uccidere, senza nessun ordine da Mosca, lo zar Nicola. Poco o nulla si sapeva delle circostanze della morte dei membri della sua famiglia, dando origine a fantasiose ipotesi sulla possibile sopravvivenza di alcuni di essi. Particolari del «massacro di Ekaterinburg» erano già stati pubblicati da un russo bianco, Nikolai Sokolov, nel 1924 a Parigi. Tra la documentazione da lui raccolta, un telegramma in codice inviato al Cremlino il 17 luglio 1918, giorno della strage della famiglia imperiale: «Informa Sverdlov — questi era il capo della polizia segreta dei bolscevichi, si legge nel documento — che tutta la famiglia ha subito la stessa sorte del capo. Ufficialmente, verrà fatta morire durante l'evacuazione». Una foto — contenuta neh' archivio scoperto per caso da una erede del principe Vladimir Orlov — mostra i segni dei proiettili sulle pareti della cantina dove vennero uccisi i Romanov. r. rcss.
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