«Rifiuti tossici come fertilizzanti» di Francesco Cevasco

«Rifiuti tossici come fertilizzanti» In Lombardia, Piemonte, Emilia e Veneto: inchiesta aperta su aziende di riciclaggio «Rifiuti tossici come fertilizzanti» Truffa da miliardi, campi inquinati, bestie malate MILANO. Gli zoccoli delle mucche corrosi, i vitelli con le zampe e la gola ustionate, il grano che nasce «bruciato», i platani verdi che diventano rossi: quando ha visto queste cose l'ispettore del corpo forestale Rino Martini ha capito che nella Bassa padana stava succedendo qualcosa di grave. Ci ha messo mesi, ma, alla fine, ha capito qual era l'imbroglio e è convinto di avere scoperto gli imbroglioni. Tonnellate di rifiuti industriali, nocivi e tossici erano stati rovesciati nei campi dove si coltivano cereali e si allevano bovini. Spacciati per fertilizzanti, i veleni hanno impestato le campagne di Lombardia, Piemonte, Emilia e Veneto. Una truffa che, oltre a far danni, rende centinaia di miliardi. E ora c'è gente che mangia «prodotti della natura» coltivati a cianuro, piombo e solventi clorurati. E altra gente che beve acqua innaffiata di acetone e trielina. Ma c'è altra gente ancora che così ha fatto i soldi. In questo modo. L'Acna di Cengio, la Vedril di Rho e quant'altri hanno il problema di smaltire barili e barili di rifiuti si sono sentiti fare delle buone offerte da ditte specializzate. Tre sono finite sotto inchiesta. Sono in viaggio comunicazioni giudiziarie per la «Casalchimica» di Casalmaggiore (Cremona), la «Ducoil» di Milano e la «Ecoprogram» di Pavia. Sono ancora tutte da accertare eventuali responsabilità. Ma nella denuncia della forestale si racconta che le «tre sorelle» mandavano i camion e caricavano i veleni. L'impegno era di incenerirli o di trasformarli, quand'era possibile, in fertilizzanti. Ma succedeva anche un'altra cosa. I fanghi putridi, a volte, non scendevano nemmeno dall'autobotte. Strada facendo (dalla fabbrica alla campagna) si cambiava la «bolla di accompagnamento», un pezzo di carta, e là dove era scritto il nome di un impasto tossico compariva quello di un fertilizzante. Convincere i contadini a usare quello (fertilizzante) anziché un altro è stato semplicissimo: noi ve lo diamo gratis proponevano i mezzani (pagati un milione a carico per l'intermediazione), anzi siccome c'è un contributo (della Regione, della Comunità europea, o qualche altra balla) se usate il nostro concime avete pure diritto a una somma pari all'ammontare dell'affitto delle terre che coltivate. Così 70 aziende agricole della Padania ci sono cascate e hanno inondato campi e stalle di concimi e fertilizzanti fasulli. Tonnellate e tonnellate di «carichi malvagi» come li definisce il sostituto procuratore di Cremona Enzo Piate, uno dei magistrati che si occupano dell'inchiesta, hanno viaggiato per anni indisturbate (il traffico pare sia cominciato nel 1980). Finché una mattina della scorsa primavera, alle 6 e in mezzo alla nebbia, l'ispettore Martini e i suoi uomini con la divisa verde si appostano tra i platani lungo la strada provinciale che passa da Fiesse, centro agricolo della Bassa bresciana. Fermano e sequestrano un autoarticolato. La bolla esibita dall'autista dice: «Fertilizzanti». Li mandano a esaminare. E la «Eco Servizi» di Brescia, sentenzia: in quel camion c'erano metalli pesanti e altre schifezze, cianuro compreso nella quantità di 400 ppm per chilo. Per dare un'idea dell'unità di misura: la normativa europea prevede che sul suolo non possano essere scaricate sostanze che hanno una quantità di cianuro superiore a 0,5 ppm per chilo. E per dare l'idea della quantità del business-imbroglio: ogni carico fruttava ai falsi smaltitori una trentina di milioni di utile; ogni anno la sola Acna (una delle tante aziende da cui si acquisivano i materiali da decontaminare) sforna 100 mila tonnellate di rifiuti che affida alle «ditte specializzate». Non ci sono ancora incriminazioni, l'inchiesta non è conclusa, ma i magistrati di Milano, Cremona e Brescia hanno disegnato questa mappa. A Pavia: un'azienda autorizzata al riciclaggio si liberava di una parte dei rifiuti senza alcun trattamento. A Milano: un'impresa titolare di una concessione allo smaltimento si limitava a modificare le bolle di accompagnamento, nemmeno scaricava i rifiuti dal camion: alterava i documenti «in corsa». A Cremona: stesso meccanismo dell'azienda pavese con la differenza che «stoccava» per qualche giorno in un silo (ora sotto sequestro) i fanghi inquinati. Francesco Cevasco Lo stabilimento Acna riprenderà la produzione a metà marzo Ai 1-4

Persone citate: Cremona Enzo, Eco, Rino Martini