Il Kosovo: «Così ci hanno massacrati» di Tito Sansa

Il Kosovo: «Così ci hanno massacrati» JUGOSLAVIA Un documento degli albanesi al Presidente federale: fate tacere le armi e condannate i colpevoli Il Kosovo: «Così ci hanno massacrati» «I miliziani sparavano sulla folla, colpiti anche due bambini» PRISTINA DAL NOSTRO INVIATO Dopo aver subito per nove giorni in silenzio le stragi commesse dalla milizia, gli albanesi del Kosovo sono passati alla controffensiva. Alle raffiche sparate dagli «squadroni della morte» hanno risposto ieri con un appello al governo federale, al Presidente della Repubblica jugoslava e all'opinione pubblica mondiale. E' un documento lunghissimo, nel quale, con toni molto moderati, le opposizioni «Iniziativa democratica jugoslava», «Comitato per i diritti umani», «Lega democratica» e altri due gruppi minori (per la prima volta uniti) espongono in dettaglio alcuni dei crimini dei quali gli albanesi sono stati vittime, e chiedono aiuto. «Il mondo dove sapere — ha detto un esponente di Lega democratica —, il governo deve agire». Secondo i firmatari, la situazione nel Kosovo è «tragica, a causa di incontrollate azioni individuali delle forze di polizia che possono venire definite terrorismo di Stato». Vengono elencate e descritte le uccisioni di 18 persone, con nomi, cognomi, età, tra le decine che sono state assassinate. Quanti siano in totale i morti non lo sa nessuno. Vi è il caso di quattro uomini falciati da raffiche di fucile automatico «M 70» mentre in corteo gridavano «Democrazia», quello di un ragazzo di diciassette anni centrato da un cecchino mentre camminava da solo per una strada, quello di un meccanico freddato mentre lavorava nella sua officina, quello di cinque uomini colpiti da una jeep sopraggiunta alle loro spalle. A Kacanik è caduto, colpito alla nuca, Gani Shora (aveva dieci anni). A Suva Reka è stato ucciso dalla milizia Milot Krieziu, che di anni ne aveva soltanto nove. Una delle uccisioni — quella di Ylfete Humolli, una ragazza di diciassette anni nella turbolenta cittadina di Podujevo — ha avuto come testimoni ocula¬ ri una «troupe» della televisione di Sarajevo e alcuni giornalisti di «Radio Sarajevo» e di «Radio Zagabria». Hanno visto arrivare una colonna di jeep diretta verso una dimostrazione nei campi. L'ultimo veicolo si è fermato, due miliziani ne sono scesi e hanno cominciato a sparare contro la folla lontana circa duecento metri, in mezzo alla quale si trovava la ragazza. La scena è stata girata dall'operatore di Sarajevo s il filmato è stato trasmesso da tutte le televisione jugoslave eccettuate quelle della Serbia e del Kosovo. Ma non solo gli «squadroni della morte» della odiatissima milizia hanno ucciso. Il documento delle opposizioni registra anche un assassinio commesso dall'esercito, quell'esercito inviato dal governo federale per fare da cuscinetto tra milizia e dimostranti e ristabilire l'ordine. E' accaduto nella solita Podujevo. Fadil Talla, sentendo arrivare i carri armati, che dagli albanesi venivano accolti con applausi come liberatori, è uscito di casa per unirsi alla folla plaudente. Sulla soglia lo ha raggiunto alla nuca un proiettile calibro 7,65 sparato da un carro armato, il penultimo di una fila di dodici. Ne hanno anche registrato il numero. «Considerato il fatto che il novanta per cento delle vittime è stato colpito alla nuca o alle spalle — è detto nel documento di denuncia — riteniamo che l'intervento della polizia non mirava a ristabilire l'ordine, ma rivela una tendenza al massacro». Più avanti è detto: «La grave situazione nel Kosovo è dovuta non alle dimostrazioni, ina in gran parte alla brutale e incontrollata azione di certe forze di polizia». Appellandosi al governo, le opposizioni esprimono fiducia nelle riforme avviate e nell'inizio del dialogo. Gli albanesi chiedono: 1) al ministro dell'Interno jugoslavo, di vietare l'uso delle armi da fuoco; 2) al Parlamento, di formare una commissione d'inchiesta insieme con il Comitato per i diritti umani; 3) al ministero della Difesa, di investigare sul crimine commesso dall'esercito a Podujevo. «Chiediamo urgentemente di prendere misure che calmino l'attuale esplosiva situazione che minaccia di sfociare in una sanguinosa guerra civile — conclude l'appello —, solo la pace creerebbe le condizioni per il dialogo politico democratico, l'unica via per una soluzione civile della crisi». Il ministero dell'Interno, direttamente responsabile per la milizia, non ha risposto. Tace, come nei giorni scorsi, così come tace il ministero delle Informazioni che venerdì aveva promesso per il giorno stesso una glasnost totale da parte di un centro stampa. Promesse non mantenute: il black-out delle notizie continua a essere totale. Domani a Titova Mitrovica riprende il processo al «controrivoluzionario» Azem Vlasi. Gli albanesi, finora assai composti, fremono impotenti. Tito Sansa

Persone citate: Gani Shora, Reka, Titova Mitrovica