Brontolii minacciosi dall'Armata Rossa di Enrico Singer

Brontolii minacciosi dall'Armata Rossa Nei ranghi montano le tensioni etniche e la truppa protesta per le disastrose condizioni di vita Brontolii minacciosi dall'Armata Rossa Un giornale-, che farebbe l'esercito in una nuova Kronstadt? E i soldati si iscrivono in massa al nuovo sindacato militare MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Deve finire come nel 1921? E' possibile che sia necessaria una seconda rivolta di Kronstadt perché il governo riconosca che non si può superare una voragine a forza di piccoli passi?». Questo interrogativo lo ha lanciato, in prima pagina, la Komsomolskaya Pravda che è il giornale dell'organizzazione giovanile del pcus. E' un modo drammatico per avvertire che la crisi economica dell'Urss è arrivata a un livello paragonabile a quello di quasi settantanni fa, quando il Paese era affamato dal cosiddetto «comunismo di guerra» e i marinai della base navale sul Baltico si ribellarono a Mosca. Una rivolta che fu schiacciata personalmente da Lenin alla testa dell'Armata Rossa. Ma l'interrogativo della Komsomolskaya Pravda può essere letto anche in un'altra chiave. Da quale parte si schiererebbe, oggi, l'Armata Rossa se si dovesse produrre una seconda Kronstadt? E' una domanda-limite. Ma non assurda, perché nell'esercito sovietico i segnali di crisi si moltiplicano. La più potente macchina militare del mondo comincia a far sentire scricchiolii allarmanti. E' dall'intervento in Afghanistan, concluso proprio un anno fa con un ritiro politicamente saggio, ma non certo brillante sul piano militare, che lo stato d'animo di soldati e ufficiali è diventato argomento di polemica aperta. E' una polemica alimentata da un crescendo di situazioni esplosive: dalla strage di Tbilisi alla battaglia di Baku. L'esplosione dei nazionalismi ha portato per la prima volta l'esercito nelle strade contro i manifestanti, sia nella capitale della Georgia (l'8 aprile scorso venti persone furono uccise dai soldati a Tbilisi) che in quella dell'Azerbaigian, dove ancora sono schierati più di diecimila militari. E questo è stato già uno choc di prima grandezza. Ma i nazionalismi hanno prodotto anche una complicazione tutta interna all'Armata Rossa: hanno diviso gli uomini e i reparti, hanno costretto gli strateghi di Mosca a «classificare» il grado di fedeltà dei reggimenti in base alla loro composizione etnica. E per una ragione molto semplice: in centinaia di casi dei soldati hanno disertato per unirsi ai gruppi armati nazionalisti della loro stesa etnia, soprattutto in Armenia e in Azerbaigian. In un Paese che è l'Unione di 15 Repubbliche e di cento popolazioni diverse, il problema delle nazionalità è sempre esistito. Ma l'esercito, finora, era uno dei momenti di integrazione. Non è più così. E lo choc per l'istituzione milita¬ re è stato ancora più grave. L'impiego dell'Armata Rossa nei conflitti interni ha provocato anche un'altra reazione che ha sconcertato i vertici. Appena quindici giorni fa i riservisti delle pur «fedeli» regioni slave hanno rifiutato di reintegrare i reparti inviati a Baku. E' stato una specie di pre-ammutinamento che ha spinto il ministro della Difesa, Dmitri Yazov, a una frettolosa marcia indietro di fronte alle madri dei riservisti che gridavano «non daremo i nostri figli alla guerra». Ma c'è di più. Per la prima volta all'interno dell'Armata Rossa si sta organizzando un movimento che vuole cataliz¬ zare tutti i malesseri e tutte le proteste: Si chiama «Unione per la protezione sociale dei militari», mfc Ira i soldati è più nota come «Shchit», che vuol dire scudo. Si presenta come un sindacato, ma ha ambizioni di forza politica. E' presieduta da un eroe dell'Unione Sovietica, il generale in pensione Shaposhnikovch che, già nel 1962 si oppose all'impiego dell'esercito contro i manifestanti a Novocherkask. Ma il suo vero leader è Vitali]' Urazhtsev, un colonnello smobilitato pochi mesi fa, a quanto pare proprio per le sue posizioni. Secondo le autorità militari, «Shchit» non conterebbe che un centinaio di simpatizzanti, ma il movimento afferma di avere già sue organizzazioni in 63 città di otto Repubbliche. Vuole democratizzare l'Armata Rossa, sviluppare la glasnost, impedire l'uso dell'esercito nella repressione interna. E' quello che, nella terminologia in voga in Urss, si chiama un programma radicale. E uno dei bersagli principali dello «Scudo» è la struttura politica delle forze armate, quel «Dipartimento politico» che a tutti i livelli della gerarchia militare assicura, ancora, il controllo del partito comunista sull'esercito. Enrico Singer

Persone citate: Dmitri Yazov, Lenin, Urazhtsev