L'uomo che fuggì quando vide Casella

L'uomo che fuggì quando vide Casella L'uomo che fuggì quando vide Casella E' una scena nel racconto del sequestro Casella, che è entrata in noi dritta come un ago, si è piantata nella nostra memoria e lì resterà: anche in coloro fra noi che ancora non se ne sono accorti. Quando saranno passati due, tre anni, e la memoria di questa vicenda si sarà prosciugata, quella scena salirà a galla, nuda e limpida, la vedremo meglio, e la capiremo. Non è il povero ragazzo legato nella capanna con due catene, una alla gamba e una al collo, ambedue della lunghezza di un metro e mezzo. In fondo, lo sapevamo. Non è il bidone nel quale faceva i propri bisogni: in fondo potevamo immaginarcelo. Non sono nemmeno le bastonate: il sequestro è una lunghissima violenza, colui che la subisce è in perenne stato di ribellione, repressa o sfogata, e le bastonature, fisiche o chimiche — psicofarmaci — vanno messe nel conto. Tutte queste son cose ovvie, e leggendo il racconto siamo portati a saltarle, o a dimenticarle subito. Se dal sequestro Casella si ricavasse un film, queste scene potrebbero mancare, o essere modificate. Ma ce n'è una che dovrebbe entrare tale e quale: essa contiene la vera spiegazione del perché il sequestro, questo sequestro, tanti sequestri, sono possibili, avvengono, durano a lungo, e non vengono risolti. Cesare Casella è nella capanna, solo, i suoi carcerieri sono lontani: a volte si assentavano per più giorni. La catena gli permette di muoversi un po', esercitando le gambe per impedire l'atrofia muscolare (dopo due anni, non camminerebbe più) e di spiare dalla porta. E' un paesaggio di boschi, selvaggio ma non impervio, fuori mano ma non sperduto. Qualcuno ci può arrivare. E ci arriva infatti: un giorno Casella sente un rumore di passi che si avvicinano, guarda fuori e vede: è un pastore, sta venendo proprio nella sua direzione, non è incappucciato, dunque non fa parte dei carcerieri: ecco il contatto col mondo, è la liberazione. Casella lo chiama, si fa riconoscere, grida il proprio nome, chiede aiuto. E qui bisogna citare le sue parole: «Il pastore guardò nella mia direzione, si coprì con il cappello la faccia, e, giratosi si mise a correre facendo ondeggiare il braccio destro». Il mondo libero, il mondo dei non-sequestratori, aveva trovato il prigioniero: e poteva liberarlo. Non lo ha fatto. Arrivato al confine tra il mondo della legge e il mondo dei fuorilegge, quel pastore ha fatto la sua scelta: ed è passato di là. Con quel gesto, che era insieme un addio e un rifiuto, facendo «ondeggiare» il braccio, il pastore ha allontanato quel che aveva visto, ha dato un saluto. A chi? A Casella; alla legge; allo Stato. Riassumiamo: a noi. E' per questo che il sequestro è continuato. E' per questo che era cominciato. E' per questo che potrà ripetersi. Il vero problema non è l'esistenza dei sequestratori, che sono al di là della legge; il problema è l'esistenza di questi pastori, che non sono al di qua. Se troviamo i sequestratori, quel che ci diranno è insignificante: sono stupidi. Ma trovare questo pastore, e farci spiegare quel braccio che ruota «ondeggiando», a dire di no, questo, e solo questo, ci porterebbe alla verità. Ferdinando Camion

Persone citate: Cesare Casella

Luoghi citati: Casella