«Arrivano dall'Est le armi della 'ndrangheta»
«Arrivano dall'Est le armi della 'ndrangheta» La «merce» giungeva in Svizzera, qui era acquistata legalmente, poi passava in Italia e veniva divisa fra le cosche «Arrivano dall'Est le armi della 'ndrangheta» Bologna, scoperto da Sica un traffico internazionale di kalashnikov BOLOGNA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Un traffico di armi che dall'Est europeo giungerebbe alla malavita italiana attraverso la Svizzera e la Lombardia. Un clamoroso giro di armi illegali, soprattutto mitragliette del tipo Kalashnikov e Uzi, sul quale sta indagando il commissario straordinario per la lotta alla mafia Domenico Sica. I fili per risalire a questa ragnatela del crimine sono a Bologna. Ed è qui che Sica, negli ultimi giorni, è giunto facendo per tre volte la spola tra il suo ufficio di Roma e il carcere bolognese della Dozza. Obbiettivo: indagare su Alessandro Silva, 36 anni, e Mario Bartesaghi, 29, arrestati il 20 gennaio con l'accusa di concorso in omicidio pluriaggravato, detenzione e porto abusivo di armi. I due avrebbero fornito le armi al commando che una domenica sera dello scorso ottobre massacrò a colpi di mitraglietta Domenico Felice Valente, un elemento di spicco della 'ndrangheta. Valente fu ucciso sotto gli occhi della moglie e delle due figlie mentre stava rientrando dopo un permesso nel carcere bolognese. Gli inquirenti hanno identificato gli autori del delitto in due «pezzi grossi» della malavita lombarda: Giuseppe Carnovale, detto «o terrona», capo clan di Como, e Giuseppe Flachi, detto «Pino», figura mitica della mala milanese, ex braccio destro di Renato Vallanzasca, capo della famigerata «Comasina». Sfondo dell'esecuzione mafiosa (Valente è stato ucciso perché avrebbe fatto uno sgarro alla banda), il racket delle armi dai mercati dell'Est europeo alla malavita italiana. Carnovale e Flachi sono ancora latitanti. Silva e Bartesaghi, su cui si sta accentrando l'interesse di Sica, sono ora indiziati anche di traffico intemazionale di armi. Entrambi risultano legati alla banda della «Comasina». I due sono stati interrogati a lungo dall'alto commissario che per tre volte li ha sentiti alla Dozza. Silva e Bartesaghi, entrambi del Comasco, avrebbero avviato un commercio di armi con la vicina Svizzera. Qui la «merce» sarebbe stata acquistata «legalmente». La legislazione elvetica consente infatti la vendita di mitragliette modificate in modo da sparare un solo colpo per volta. Alla banda della «Comasina» sarebbe spettato il compito di «rettificare» i mitra, restituendo la possibilità di sparare a raffica. La 'ndrangheta avrebbe poi smistato le armi. A questa convinzione si è giunti anche attraverso un ritrovamento di Kalashnikov. Le indagini puntano a stabilire le dimensioni del traffico, che gli inquirenti definiscono «notevole», e le sue reali diramazioni. Pare che nella mappa italiana del racket un ruolo di punta venga svolto dalla Calabria e dalla Sicilia. L'elemento confermerebbe un intreccio molto stretto di interessi tra malavita organizzata e organizzazioni mafiose. Ad insospettire gli investigatori sono state le armi usate dai killer e poi abbandonate dopo l'esecuzione: un Uzi calibro 9 di fabbricazione israeliana e uno Striker calibro 12 di produzione australiana. Recentemente, l'Alto Commissario aveva compiuto altri due viaggi a Bologna per occuparsi di un'altra inchiesta, quella sul traffico internazionale di eroina che dalla Turchia affluiva in Italia via Trieste e che ha portato in carcere 108 persone. Sica, in particolare, nella caserma dei carabinieri di Molinella, nel Bolognese, ha assistito all'interrogatorio di un pentito catanese, che avrebbe parlato delle caratteristiche del traffico di droga. Il pentito avrebbe parlato anche delle raffinerie palermitane dove l'eroina grezza veniva raffinata. Lo spaccio di eroina faceva arrivare solo a Bologna 25-30 chilogrammi al mese, che garantivano all'organizzazione un guadagno di 100 milioni al giorno. Marisa Ostolani
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