Kosovo, arrivano i carri armati di Tito Sansa

Kosovo, arrivano i carri armati Belgrado manda l'esercito per evitare la guerra tra albanesi e ultra montenegrini Kosovo, arrivano i carri armati «Garantiremo l'ordine e il dialogo» Diciotto morti il bilancio degli scontri PRISTINA DAL NOSTRO INVIATO L'esercito federale jugoslavo si è mosso per bloccare i disordini degli albanesi nel Kosovo, e gli albanesi lo hanno salutato con gioia, come fosse un esercito di liberazione. I carri armati sono usciti dalle caserme, aerei hanno sfrecciato per tutto il giorno a bassa quota sulla capitale regionale Pristina per la prima volta pattugliata da soldati, una squadriglia di dodici elicotteri si è diretta verso il Montenegro (bloccato al traffico) che sta reclutando volontari da inviare nel Kosovo per punire gli albanesi. La presenza dell'esercito è discreta, ma ammonitrice e dissuasiva, tanto per i dimostranti albanesi quanto per gli odiati miliziani che, come impazziti, sparano sulle folle. Ancora mercoledì sera hanno ucciso gente che aveva bloccato una strada presso il villaggio di Malicevo a una dozzina di chilometri da Pristina. L'uscita delle forze armate dalle caserme, che non è ancora il massiccio intervento militare reclamato dai serbi, è stato ordinato dal governo federale. Prendendo questa decisione il primo ministro Ante Markovic mira a calmare gli animi accesi dei nazionalisti serbi e montenegrini che mercoledì sera hanno posto al suo governo un ultimatum di 48 ore minacciando di marciare sul Kosovo se non fosse stato ristabilito l'ordine. Molto grave viene considerato il fatto che a minacciare la invasione armata, chiesta con grida e spari in aria da una folla eccitata di oltre centomila persone a Titograd, sia stato il presidente della Repubblica del Montenegro Branco Kostic, il quale ha detto: «Se il governo non è capace di fermare gli albanesi, lo faremo noi organizzando una armata di volontari». A quelli che sparavano in aria (come usa in Montenegro) ha detto: «Risparmiate le munizioni per occasioni migliori». Parlando alla radio, il primo ministro Markovic ha ammonito tutti i contendenti". «Il governo —ha detto — esige da sloveni e serbi di assumere posizioni che rendano libera la circolazione di idee, persone, merci e capitali» assicurando che «opereremo nel Kosovo affinché si riesca a stabilire un dialogo sulla base del pluralismo, nell'ambito dell'integrità territoriale del Paese che non può venir messa in discussione». Markovic non ha risparmiato neppure gli albanesi, biasimando le «masse di separatisti del Kosovo che impediscono le riforme». A Pristina, dove l'atmosfera è tesa ma sotto controllo, il governo regionale si è finalmente deciso ieri a fare il punto. Diciotto sono i morti, 54 i feriti, ha detto una portavoce, classificando le vittime in tre categorie: cittadini, dimostranti e terroristi. Per la prima volta è sta- to ammesso che le principali strade sono spesso interrotte da barricate, che diverse società di autobus hanno sospeso il servizio con il Kosovo, che tre linee ferroviarie sono state temporaneamente bloccate, che treni, autobus e camion arrivano spesso con i finestrini rotti da sassate, che ventimila operai in una trentina di fabbriche sono in sciopero permanente, ma che «i rifornimenti sono normali». I camion da ieri viaggiano sotto scorta militare, ma nei prossimi giorni potrebbero esservi difficoltà nei rifornimenti. Sono incappato ieri in uno di questi blocchi stradali a Milocevo. Era per il funerale di due uomini, Sadik Mala, di 23 anni, e Sadri Makiuti di 53 anni, uccisi la sera prima, al quale partecipava una folla cupa e mesta di circa diecimila persone. Dieci carri armati vigilavano a distanza per proteggere il villaggio abitato da serbi. «Ma i serbi non hanno nulla da temere da noi — diceva la gente — sono nostri amici, vi accompagniamo a visitarli. Sono i politici della Serbia i nostri nemici, che ci negano un minimo di democrazia». C'erano due tumuli freschi ai bordi della strada, là dove i due uomini erano stati falciati. A fari spenti — raccontano eccitati in una babele di lingue — era arrivata una autoblindo della milizia per disperdere la gente che gridava «democrazia». Poi i fari si sono accesi e dall'autoblindo sono partite raffiche. Ieri, per la prima volta, non ci sono stati gravi incidenti. La presenza simbolica dell'esèrcito ha portato a una tregua, i soldati hanno fatto da cuscinetto tra dimostranti e miliziani. «Il vero pericolo ora — dice il capo della Lega democratica albanese Ibrahim Rugova — è che arrivino le squadre punitive dei serbi e dei montenegrini. Allora davvero gli albanesi potrebbero insorgere». Tito Sansa Un dimostrante albanese lancia un lacrimogeno contro le forze di sicurezza durante le dimostrazioni nazionalistiche

Persone citate: Ante Markovic, Ibrahim Rugova, Kostic, Markovic, Sadik Mala, Sadri Makiuti