I tagli del Presidente

I tagli del Presidente I tagli del Presidente Parità di forze solo in Centro Europa WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Sinora, il nostro mondo è stato quello plasmato nel '45. Ma la rivoluzione dell'89 ha segnato l'inizio di una nuova era... E' giunto il momento di ridurre gli armamenti convenzionali della Nato e del Patto di Varsavia a livelli adeguati. Perciò propongo di ridurre le truppe americarie e sovietiche nell'Europa Centrale e in quella dell'Est a 195 mila uomini per parte». Così l'altro ieri sera, ieri mattina in Italia, nella maestosa cornice della Camera e del Senato in assemblea plenaria, Bush ha invitato Gorbaciov alla parziale smilitarizzazione del più pericoloso fronte europeo. Non è stata una sorpresa: sulla scia di una precedente telefonata del Presidente al leader del Cremlino, la Casa Bianca aveva già segnalato ai media Usa la storica iniziativa. Ma il Congresso è esploso in un applauso fragoroso, uno dei 35 della serata: nella proposta di Bush ha visto la svolta irreversibile verso l'unificazione, sia pure difficile e lontana, delle due Europe e delle due Germanie. Dopo il discorso del Presidente, il tradizionale messaggio sullo stato dell'Unione d'inizio anno, ecco infatti una precisazione cruciale: Bush vuole l'accordo ai negoziati di Vienna entro il '90. Appena otto mesi fa a Bruxelles, Bush aveva proposto la riduzione dgìi effettivi americani e sovietici in tutta l'Europa a 275 mila per parte. La Casa Bianca ha detto apertamente che il nuovo taglio (il 35 per cento per gli Usa, il 65 per cento per l'Urss) è stato suggerito al Presidente «non solo dalla consapevolezza che gli eventi dell'Est europeo stavano per scavalcarlo, ma anche dalla convinzione che Mosca possa e debba essere spinta allo sgombero totale dai Paesi del Patto di Varsavia». Ciò avverrà a condizione di reciprocità? Gli Usa si disimpegneranno dalla Nato? Nel discorso al Congresso Bush ha reso chiaro che non sarà così. «Siamo d'accordo con i nostri alleati — ha sottolineato il Presidente — che una presenza militare americana in Europa è essenziale, che non dipende solo da quella sovietica nell'Est». La Casa Bianca è stata ancora più secca: «Le nostre non sono truppe di occupazione — ha detto —, quelle sovietiche sì. Resteremo in Europa finché essa lo vorrà». Questo distinguo ha giocato un ruolo fondamentale nella nuova proposta di Bush di ridurre gli effettivi delle due superpotenze. Il Presidente l'ha volutamente limitata all'Europa Centrale e a quella dell'Est, ossia alla Germania Orientale, alla Polonia, alla Cecoslovacchia e all'Ungheria, perché là l'Urss ha quasi tutte le sue truppe, 552 mila uomini (ne tiene pochissime in Bulgaria, nessuna in Romania). Nella regione corrispettiva, la Germania Occidentale, il Belgio e il Lussemburgo, gli Usa stazionano invece poco più di 250 mila soldati. Altri 50 mila si trovano in Gran Bretagna, in Italia (quasi 15 mila), in Grecia e in Turchia. Poiché la proposta di Bush non riguarda questi ultimi Paesi (anche se gli Usa intendono ridurvi le truppe di circa 20 mila unità, compresa la chiusura della base missilistica di Comiso), se Gorbaciov la accetterà si creerà uno squilibrio tra gli effettivi sovietici nell'Est europeo, che saranno 195 mila, e quelli statunitensi nell'Ovest, che saranno 195 mila più 30 mila, cioè 225 mila. La Casa Bianca non ha nascosto la speranza di costituirsi in questo modo un precedente per gli altri armamenti: «Distiamo 5 mila chilometri dall'Europa, e l'Urss deve capire che è necessaria una certa asimmetria tra le nostre e le sue forze». Sebbene nel messaggio sullo stato dell'Unione Bush non ne abbia fatto cenno, la Casa Bianca ha confermato che due suoi emissari, il sottosegretario di Stato Eagleburger e il vicedirettore del Consiglio di sicurezza nazionale Gates, hanno visitato all'inizio della settimana Roma, Londra, Bonn e Parigi per presentare in anticipo il piano agli alleati, e che «il consenso è stato confortante». Bush ha adombrato la speranza che, di fronte all'unanimità della Nato e alle pressioni dei Paesi del Patto di Varsavia perché li sgomberi unilateralmente, Gorbaciov non solo accolga la sua proposta, che lo leverebbe dall'imbarazzo, ma concluda anche altri trattati di disarmo, innanzitutto quelli sulle armi strategiche, i missili intercontinentali, e sulle armi chimiche. «A quel punto — ha osservato però l'ex ministro della Difesa Schlesinger — saremmo obbligati anche noi a mantenere in Italia e negli altri Paesi della Nato una presenza militare solo simbolica». Prima di chiudere il suo intervento con l'annuncio che le truppe Usa lasceranno Panama entro la fine del mese, Bush ha operato un altro importante distinguo. «La minaccia dell'Urss in Europa diminuisce — ha affermato —, ma non il suo programma di modernizzazione nucleare. Per questo motivo, non possiamo abbandonare i nostri progetti atomici né lo scudo spaziale». Il Presidente ha dunque ribadito la sua determinazione a ridurre le spese della difesa nel settore convenzionale, ma ad aumentarle in quello delle tecnologie più avanzate. E' qui che i democratici hanno preso le distanze da Bush. Il presidente della Camera, Foley, lo ha ammonito che «nel nuovo mondo, la potenza di un Paese non si misurerà più sulle basi missilistiche, ma sulle aule delle scuole», e lo ha esortato a massicci tagli del Pentagono per promuovere le riforme sociali. Kennedy, ha detto più tardi Foley, ricordava il musical «Camelot» sul mitico regno di Re Artù, perché guidava il Paese verso nuove frontiere; Bush ricorda il musical «Promesse, promesse» perché prospetta drastici cambiamenti, ma non trova quasi mai i mezzi per realizzarli. Ennio Carette