ERMENEUTICA ULTIMA ASANGUARDIA di Franca D'agostiniGianni Vattimo

ERMENEUTICA ULTIMA AVANGUARDIA ERMENEUTICA ULTIMA AVANGUARDIA FILOSOFIA tollerante, pluralista, permissiva, l'ermeneutica è diventata progressivamente, nel corso degli Anni 80, «l'idioma comune della filosofia e della cultura», e in un certo senso l'ultima avanguardia del pensiero (se parlare di avanguardia è lecito per una dottrina profondamente legata al concetto di tradizione). Nel vuoto teorico suscitato dalla crisi delle ideologie politiche, e dell'esaurirsi — per inflazione — delle pretese descrittive dello strutturalismo, c'è stata si può dire una fase di interregno anarchico, in cui si capiva con chiarezza chi avrebbe ereditato i compiti e il destino del linguaggio filosofico tradizionale, o anche del suo eventuale rovescimento: il poststrutturalismo? la filosofia analitica del linguaggio? il neo-trascendentalismo? oppure qualche disciplina un tempo considerata specifica, coinè la retorica l'antropologia o la sociologia, che d'improvviso avanzasse buone qualità fondative, e requisiti di universalità? In questo clima vago e latentemente agonistico, da «sorpasso» filosofico, l'ermeneutica ha conquistato una posizione di centralità, fino a costituirsi come termine di riferimento inevitabile per ogni discussione di filosofia, o di critica letteraria, o di metodologia della scienza. Aveva a suo vantaggio una certa indeterminatezza — nell'ermeneutica, scriveva Schleiermacher, c'è un solo presupposto: il linguaggio —, e un tono understate molto diverso da quello di altre teorie del linguaggio, come la filosofia analitica, o strutturalismo. Ma se la fortuna teorica dell'ermeneutica data ormai da circa un decennio, la sua fortuna editoriale è abbastanza recente, e solo negli ultimi due anni, in Italia, si può parlare di una vera «svolta ermeneutica» nella produzione saggistica media. Il caso più indicativo è senza dubbio la Storia dell'ermeneutica di Maurizio Ferraris, uscita nel giugno deU'88, ed esaurita nell'arco di pochi mesi. La seconda edizione del libro di Ferraris è apparsa quest'anno (Bompiani, pp.484, L. 45.000) in apparente concorrenza con la traduzione di un saggio di Georges Gusdorf, presentato al lettore italiano con lo stesso titolo, Storia dell'ermeneutica (il testo francese era però Les origines de l'her- méneutique), edito da Laterza (pp.516, L.45.000). In realtà il lavoro di Ferraris ha un impianto decisamente storico, è un manuale complessivo dell'ermeneutica, dell'antichità alle ultime discussioni tra Gadamer e Habermas, Gadamer e Derrida; il testo di Gusdorf mantiene una prospettiva storica soltanto fino a Dilthey (18441911 ), ed è incentrato soprattutto sull'ermeneutica come teoria e tecnica (non propriamente «filosofia») dell'interpretazione tra scienze umane e arte. La «collana di ermeneutica» diretta da Gianni Vattimo per Rosenberg & Sellier ha esordito nell' 88 con una raccolta di saggi di Luigi Pareyson, iniziatore dell'ermeneutica in Italia, Filosofia dell'interpretazione, ed è giunta al quinto titolo con un volume dello stesso Vattimo, Etica dell'interpretazione. Sono dell'anno scorso (citando solo alcuni titoli) il quinto volume delle «Opere» di Hans Georg Gadamer da Marietti (la cui pubblicazione è iniziata nell'83) Chi sei tu chi sono io?, su Paul Celan (pp.130, L. 19.000); il saggio di Jacques Derrida — post-strutturalista esplicitamente passato nelle file dell'ermeneutica — Dello spirito, pubblicato da Feltrinelli a cura di G. Zaccaria (pp. 133, L. 25.000); la Disputatio hermeneutica, scambio epistolare tra Martin Heidegger ed Emil Staigner, curato da R. Sega per l'editore Gabriele Corba (pp. 62, L. 16.000). Si potrà parlare, per l'ermeneutica, di una diffusione ((popolare» simile a a quella che ha avuto l'esistenzialismo, ultima filosofia pura giunta alla dignità dell'uomo della strada? Difficile pensarlo. Fino a poco tempo fa, l'ermeneutica si è mantenuta nei termini della discussione specialistica, si è attardata in quell'astrattezza un po' ossessiva che è tipica delle questioni metodologiche, e in questa veste ha dovuto subire, a volte, la definizione riduttiva di «metafilosofia», teoria priva di spunti genuinamente «filosofici». Ma è ancora in atto questa situazione? In realtà, se c'è una linea riconoscibile nella moltiplicazione anche dispersa di titoli e iniziative che caratterizza la storia recente dell'ermeneutica, è l'avvertibile passaggio da una fase riflessiva, teorica e metodologica, a una fase di più riuscito intervento sul linguaggio. La Disputatio hermeneutica di Heidegger e di Staiger (noto esponente della critica stilistica), tutta incentrata sul significato da assegnare al termine scheint («splende»?, o «appare»?) in un verso del poeta Eduard Morike; o il saggio di Derrida, che segue le vicende della parola Geist nell'opera di Heidegger; oppure il volume su Celan, dove la saggezza ermeneutica di Gadamer si esercita nella lettura della poesia: sono casi che esemplificano una tipica tesi ermeneutica, ossia l'idea di un logos «vivente», un tessuto filosofico predisposto già semplicemente nella vita del linguaggio, senza preliminari esigenze di autogiustificazione o legittimazione teorica. Conquistata una posizione di legittima centralità, la «filosofia dell'interpretazione» sta forse entrando in quella fase del pensiero che Nietzsche — con una certa cattiva coscienza, e per sgravio di responsabilità — delegava alle generazioni future. L'ermeneuta del futuro, diceva Nietzsche, una volta accertata la propria dipendenza dalla storia, smetterà di pensarci, e comincerà senz'altro ad agire sul linguaggio. Franca D'Agostini Gianni Vattimo Etica dell'interpretazione Rosenberg & Sellier pp. 147, L. 21.000

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