LUMI DI VENEZIA di Franco Venturi

LUMI DI VENEZIA LUMI DI VENEZIA Franco Venturi: il presente nasce dal Settecento ^"V TORINO g M UANDO pensiamo a jfl B Venezia nel Settecen- I to, ciò che appare è E un palcoscenico golI doniano, su cui una KB società gelosa delle B B9 tradizioni recita la w« commedia della pro^J^Jpria decadenza. Un mondo sotto il dominio della conservazione, vivido ma immobile come un riflesso in un cristallo di Murano. Non ha forse scrìtto Carlo Dionisotti che all'arrivo di Napoleone quella Venezia cadde «come uno specchio infranto»? Ma nei frammenti dello specchio ecco oggi venire alla luce una Venezia del Settecento finora rimasta in secondo piano: quella che vide sorgere e agitarsi riformatori, illuministi, agronomi, gazzettieri, avvolta nelle carte d'archivio, nascosta in polverosi brogliacci, finché non l'ha dissepolta Franco Venturi, il grande storico di Diderot e dell'Illuminismo. Nel 1969 egli pubblicava da Einaudi il primo volume di Settecento riformatore. Ventun anni dopo esce il settimo tomo di quest'opera straordinaria: La Repubblica di Venezia. 1761-1797 (pp. 478, L. 85.000). Sono queste pagine, dense di personaggi e di cronache, ric: che di una sorprendente immediatezza, a capovolgere un'immagine storica tradizionale. Sulla novità che rappresenta il volume per gli studi storiografici e sulla sua lunga milizia di storico appassionato, abbiamo intervistato Franco Venturi. Le vicende rievocate in questo libro ruotano sempre attorno al conflitto fra conservatori e innovatori. La storia come la si intende tradizionalmente, dagli eventi bellici alle relazioni diplomatiche, resta sulla sfondo, come un'increspatura dell'acqua. Perché? Io non crèdo alla necessità di ricreare ogni volta una questione di metodo. A Venezia nel Sette¬ cento una storia militare non c'è, una storia diplomatica non c'è, neppure una storia economica. Quella che conta è la volontà di un'elite nuova che, prendendo l'esempio dalla Francia, dall'Inghilterra o dalla Germania, cerca di vivere secondo la propria epoca. La parte più interessante della storia di Venezia nel '700 sono i tentativi interni di trasformare la società. La Venezia del Settecento non è dunque quella che amiamo in Goldoni? La Venezia di Goldoni non può esistere, non è mai esistita. Lui, peraltro, se ne andò via. Sé io mi affido a Goldoni, non ho nessuna riforma, non ho nessun movimento. Ma se io prendo Griselini,* che nessuno conosce, Francesco Griselini, questo figlio di operai che fonda II Giornale d'Italia, se io prendo la sua scienza, le sue idee, eeh, quella è la gente da studiare per capire il Settecento di Venezia. Naturalmente Goldoni è bello, è arte, mentre Griselini scriveva come scriveva, ma sono i Griselini che dimostrano quanto il movimento riformatore sia stato importante anche a Venezia e nel Veneto. Le riforme sempre sconfitte I Griselini, però, con le loro vite complicate, con le loro curiosità eclettiche e con le loro idee riformatrici, alla fine vengono sconfitti... E se le dicessi che con le riforme succede sempre così? Questa idea un po' troppo italiana che le riforme devono riuscire, ecco ciò che spesso ci frena anche oggi. Bisogna tentare. Poi lo storico farà il bilancio. Qualche mese fa abbiamo chiacchierato tanto, e per il mio gusto anche troppo, di Rivoluzione francese: forse 11 sono riusciti a fare le riforme? Uguaglianza: per realizzarla ci sono voluti altri cento anni. Libertà: quanti tiranni hanno visto ancora i francesi! Non ha senso ripetere ogni volta la stessa domanda: valeva la pena? Che discorsi! Importante è mostrare che c'è stato un moto riformatore. Comunque ci sono stati anche dei risultati duraturi. Prendiamo per esempio il settore industriale: l'idea nel Settecento di creare a Schio un centro laniero, che è rimasto in piedi fino ad oggi, non è mica da niente. Una delle figure retoriche più usate per definire le opere di storia è quella dell'affresco, il grande affresco di un'epoca o di una società. Lei invece procede attraverso tante storie, tanti frammenti. Si tratta di una scelta? Io sono sempre stato convinto che non è compito dello storico scrivere quelli che si chiamano i manuali, le opere generali o come dice lei, abbellendo, gli affreschi di un'epoca. Per il semplice motivo che sono il riassunto di cose già scritte da altri. Quante opere sulla Rivoluzione francese, per raccontare tutte le stesse cose. Quello che conta nella storia è il problema: il problema della dominante rispetto alle province, il problema del commercio rispetto all'agricoltura. Lo storico deve essere originale. Riraccontare quanto già sappiamo che senso ha? Invece gli editori — facciamo una malignità — ti chiedono sempre quello che è già nòto. Perché non scrive una bella storia di Venezia dal al?... Ma se ce ne sono già dieci! Ma questa frammentarietà non è anche legata a un'idea di Venezia? Il libro sembra tante vedute o scenette del Guardi... Il Guardi è un grande modello di interpretazione di Venezia, con la sua tristezza, i suoi colori. La storia di Venezia è come un caleidoscopio, che ha sempre gli stessi elementi — perché a Venezia, naturalmente, gli elementi conservativi ci sono — che però girano con il caleidoscopio, variando i colori e le figure. Biblioteche chiuse Una polemica: perché lei dedica il libro a chi farà riaprire le biblioteche italiane? Perché le maggiori biblioteche italiane sono chiuse o difficilmente utilizzabili. Ma tutto lo stato e l'organizzazione delle biblioteche crea enormi problemi allo studioso. E' un vero segno di sprezzo per il passato. E siamo forse il solo grande paese che non ha una vera biblioteca nazionale. |i' A Roma c'è un fondo gesuitico e poi si parte dall'Ottocento. Provi lei a cercare i libri di Griselini a Roma. Lei ha scritto sette tomi, quattromila pagine, sulla società italiana nel secolo dei Lumi. Ha in preparazione altri due tomi, su Genova e Toscana e sul Piemonte e Napoli. Si può dire che un'opera così voluminosa e approfondita sul nostro Settecento fosse necessaria? C'era una mancanza notevole negli studi. Perché la cultura italiana, non solo del Settecento, era stata tutta assorbita dalla letteratura. Discussioni e libri su Parini non si contano, ma su Pietro Verri? Non è che io neghi, badi bene, il valore della poesia, ma sono convinto che il piano economico di Verri sia stato per l'Italia della massima importanza. Lei mi parla di necessità. Penso che nel Settecento, quello europeo, ha origine il mondo contemporaneo. Si parla sempre di Umanesimo e di Rinascimento, ma il mondo lì ha i suoi avi, mentre le radici sono nell'Illuminismo. Quello che sta succedendo in Europa oggi è una specie di rivoluzione illuminista. Ma lo storico ha delle responsabilità nella scelta degli argomenti di cui scrivere? Studiare la cronaca d'un villaggio, come adesso troppo spesso si fa, non serve a nulla. Responsabilità degli storici è studiare l'origine delle idee che dominano la nostra vita. Non scrivere romanzi. Mi consenta un solo esempio: oggi si parla tanto di tornare al mercato. Chi l'ha inventato? Gli uomini del Settecento. E in Italia chi si ne occupò? Genovesi e Verri. E' importante porre al centro dei nostri studi le radici della nostra vita. Se penso al Settecento italiano, non c'è dubbio che capire come i nostri antenati hanno vissuto il grande tema delle riforme prima che si ponesse la questione dell'unità d'Italia, quando i problemi centrali erano economici e sociali, è fondamentale anche per le riforme che dobbiamo fare noi. ^ anni dopo esce il settimo tomo di quest'opera straordinaria: La Repubblica di Venezia. 1761-1797 (pp. 478, L. 85.000). Sono queste pagine, dense di personaggi e di cronache, ric: che di una sorprendente immediatezza, a capovolgere un'immagine storica tradizionale. Sulla novità che rappresenta il volume per gli studi storiografici e sulla sua lunga milizia di storico appassionato, abbiamo intervistato Franco Venturi. Le vicende rievocate in questo libro ruotano sempre attorno al conflitto fra conservatori e innovatori. La storia come la si intende tradizionalmente, dagli eventi bellici alle relazioni diplomatiche, resta sulla sfondo, come un'increspatura dell'acqua. Perché? Io non crèdo alla necessità di ricreare ogni volta una questione di metodo. A Venezia nel Sette¬ movimento riformatore sia stato importante anche a Venezia e nel Veneto. Le riforme sempre sconfitte I Griselini, però, con le loro vite complicate, con le loro curiosità eclettiche e con le loro idee riformatrici, alla fine vengono sconfitti... E se le dicessi che con le riforme succede sempre così? Questa idea un po' troppo italiana che le riforme devono riuscire, ecco ciò che spesso ci frena anche oggi. Bisogna tentare. Poi lo storico farà il bilancio. Qualche mese fa abbiamo chiacchierato tanto, e per il mio gusto anche troppo, di Rivoluzione francese: forse 11 sono riusciti a fare le riforme? Uguaglianza: per realizzarla ci sono voluti altri cento anni. Libertà: quanti tiranni hanno visto ancora i francesi! Non ha senso ripetere ogni volta la stessa domanda: valeva la pena? Che discorsi! Importante è mostrare che c'è stato un moto riformatore. Comunque ci sono stati anche dei risultati duraturi. Prendiamo per esempio il settore industriale: l'idea nel Settecento di creare a Schio un centro laniero, che è rimasto in piedi fino ad oggi, non è mica da niente. Una delle figure retoriche più usate per definire le opere di storia è quella dell'affresco, il grande affresco di un'epoca o di una società. Lei invece procede attraverso tante storie, tanti frammenti. Si tratta di una scelta? Io sono sempre stato convinto che non è compito dello storico scrivere quelli che si chiamano i manuali, le opere generali o come dice lei, abbellendo, gli affreschi di un'epoca. Per il semplice motivo che sono il riassunto di cose già scritte da altri. Quante opere sulla Rivoluzione francese, per raccontare tutte le stesse cose. Quello che conta nella storia è il problema: il problema della dominante rispetto alle province, il problema del commercio rispetto all'agricoltura. Lo storico deve essere originale. Riraccontare quanto già sappiamo che senso ha? Invece gli editori — facciamo una malignità — ti chiedono sempre quello che è già nòto. Perché non scrive una bella storia di Venezia dal al?... Ma se ce ne sono già dieci! Ma questa frammentarietà nazionale. |i A Roma cè un che sta succedendo in Europa oggi è una specie di rivoluzione illuminista. Ma lo storico ha delle responsabilità nella scelta degli argomenti di cui scrivere? Studiare la cronaca d'un villaggio, come adesso troppo spesso si fa, non serve a nulla. Responsabilità degli storici è studiare l'origine delle idee che dominano la nostra vita. Non scrivere romanzi. Mi consenta un solo esempio: oggi si parla tanto di tornare al mercato. Chi l'ha inventato? Gli uomini del Settecento. E in Italia chi si ne occupò? Genovesi e Verri. E' importante porre al centro dei nostri studi le radici della nostra vita. Se penso al Settecento italiano, non c'è dubbio che capire come i nostri antenati hanno vissuto il grande tema delle riforme prima che si ponesse la questione dell'unità d'Italia, quando i problemi centrali erano economici e sociali, è fondamentale anche per le riforme che dobbiamo fare noi. ^