Nel Caucaso
Nel Caucaso Armeni e azeri si ritirano dai confini del Nakhichevan MOSCA. I militanti armati armeni e i rivali azeri hanno cominciato a ritirarsi ieri mattina dalle zone di confine del Nakhichevan (l'enclave azerbaigiano racchiuso in territorio armeno). Secondo le prime notizie giunte da Erevan, la capitale dell'Armenia, tutto si è svolto in maniera pacifica. Il ritiro fa seguito all'accordo negoziato dai rappresentanti delle due etnie. Anche da Baku, la capitale dell'Azerbaigian, sconvolta dai combattimenti seguiti all'intervento dell'Armata Rossa, giungono notizie confortanti. Secondo «Radio Mosca», la situazione in città sta tornando alla normalità. Sabato i soldati sovietici avevano fermato decine di militanti azeri in tutta la Repubblica per neutralizzare il Fronte nazionale azero. Stando al quotidiano nazionale «Trud», nella sede principale del Fronte, a Baku, sarebbero state sequestrate più di 1000 uniformi militari e un rilevante quantitativo di armi. «Radio Mosca» ha tuttavia riferito che in alcune zone permangono focolai di tensione. Da parte del Fronte è stata manifestata la disponibilità a trattare con le autorità sovietiche, a patto che si parli del ritiro dell'Armata Rossa, di riforme e di altre questioni che stanno a cuore ai nazionalisti azeri. La tregua lungo il confine col Nakhichevan era stata concordata da armeni e azeri giovedì scorso. Durante i colloqui era stato deciso anche di scambiare 17 prigionieri armeni per 22 azeri. I rappresentanti delle due etnie hanno accettato altresì di incontrarsi a Riga, in Lettonia, per discutere il conflitto etnico. La decisione di far interveni¬ re le truppe a Baku non è stata dettata dall'intenzione di «sopprimere le differenze di opinioni», ma dalla volontà di far cessare «il baccanale di omicidi e pogrom»: lo ha detto il ministro degli Esteri sovietico, Eduard Shevardnadze, durante l'incontro avuto sabato con il primo viceministro degli Esteri indiano, Shailendra Rumar Singh. Quest'ultimo ha consegnato al capo della diplomazia sovietica un messaggio del premier indiano, Vishwanat Pranat Singh, per il presidente dell'Urss, Mikhail Gorbaciov. «Voglio sottolineare ancora una volta — ha detto Shevardnadze — che l'intervento delle truppe è stato dettato non da motivi politici, tesi a sopprimere differenze di opinioni, come tentano di insinuare alcuni circoli esteri, ma dall'unico scopo di interrompere lo spargimento di sangue, restituire alla gente la pace e la sicurezza, dare ai popoli delle due repubbliche la possibilità di svilupparsi democraticamente. Quanto alla soluzione dei problemi politici, la dirigenza sovietica è categoricamente contraria all'uso della forza. Lo strumento principale, in questo caso, è il dialogo». La decisione dell'ingresso delle truppe e della repressione dei gruppi di miliziani armati azerbaigiani, ha precisato Shevardnadze, è stata infatti presa solo «quando la situazione ha assunto un carattere drammatico, quando sono iniziati il baccanale di omicidi e pogrom, la violazione delle più elementari norme del diritto e della legalità, quando sono apparse decine di migliaia di profughi, quando gli scontri armati a base etnica hanno assunto ampio respiro».
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