«A Baku Gorbaciov usa lo stile Breznev» di Enrico Singer

«A Baku Gorbaciov usa lo stile Breznev» I deputati radicali chiedono una riunione straordinaria del Soviet: si sta tornando ai vecchi sistemi «A Baku Gorbaciov usa lo stile Breznev» Raid nella sede azera a Mosca, arrestato leader ribelle MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «La decisione di inviare l'Armata Rossa a Baku è stata presa con la stessa procedura usata per gli interventi militari in Ungheria, in Cecoslovacchia o in Afghanistan». La critica di Yuri Afanasiev è tagliente. Per 10 storico, direttore dell'Istituto degli Archivi ed esponente di punta del gruppo dei 140 deputati «radicali» del Soviet Supremo, Gorbaciov avrebbe dovuto consultare il Parlamento prima di spedire i soldati a Baku. Limitarsi a riunire il Presidium (cioè la presidenza permanente) del Soviet ed agire per decreto è, per Afanasiev, un «ritorno ai vecchi sistemi». Adesso, «per evitare che il protrarsi delle violenze minacci 11 cammino della perestrojka», sarebbe urgente una riunione straordinaria del Parlamento. Così come sarebbe opportuno l'avvio di trattative con i nazionalisti. La posizione del cosiddetto «gruppo inter-regionale», di cui fa parte anche Boris Eltsin, è stata esposta da Afanasiev nel corso di una conferenza stampa, ieri pomeriggio, subito dopo un incontro con Anatoly Lukyanov che è il vice presidente del Soviet Supremo (di cui è presidente Michail Gorbaciov). A Lukyanov i deputati «radicali» hanno formalmente chiesto la convocazione anticipata del Parlamento. Ma la decisione di riunire in seduta straordinaria il Soviet spetta proprio al Presidium che, nove giorni fa, ha ordinato per decreto l'imposizione dello stato d'emergenza in Azerbaigian e in Armenia. E l'impressione prevalente a Mosca è che la richiesta di Afanasiev non sarà accolta. E', tuttavia, una testimonianza di quanto si va facendo acuta la polemica politica innescata dall'intervento dell'Armata Rossa a Baku. Una polemica che è alimentata, anche, da un'altalena di segnali contraddittori. Dall'apparente oscillazione tra i primi gesti di apertura al negoziato con i nazionalisti azeri e la linea dura degli arresti che caratterizza queste ultime ore. Nella capitale dell'Azerbaigian sono ormai 480 le persone finite in prigione: la metà per «violazione del coprifuoco», l'altra metà per «crimini contro lo stato d'emergenza». Ma l'arresto più clamoroso è avvenuto proprio a Mosca dove le forze speciali del ministero dell'Interno hanno catturato Ektebar Mamedov, l'emissario del Fronte popolare nazionalista azero. Mamedov, un giovane professore di storia dell'Università di Baku, aveva incontrato i giornalisti nella sede della rappresentanza moscovita dell'Azerbaigian appena sei ore prima di sparire in un cellulare. Aveva detto che il Fronte era disposto a trattare, ma che prima l'Armata Rossa doveva essere ritirata perché, in caso contrario, Gorbaciov «sarebbe andato incontro ad un nuovo Afghanistan». Erano le 15. Poco dopo mezzanotte, una ventina di uomini armati, con giubbotti antiproiettili ed elmetto, sono arrivati davanti alla sede della rappresentanza azera, hanno fatto saltare la serratura del portone a colpi di mitra e hanno perquisito tutto l'edificio. Le persone che erano all'interno — compresa Larissa Letuchaya che è deputato nel Parlamento dell'Azerbaigian — sono state chiuse in una stanza e identificate. «Ci avevano come presi in ostaggio — ha detto la signora Letuchaya — e poi se ne sono andati». Ma a questa prima incursione ne è seguita un'altra, quasi alle due e mezzo di notte. Ed è in questo secondo «raid» che è stato catturato Ektebar Mamedov. Non si sa quali siano le accuse mosse contro l'esponente nazionalista. Ma a Baku il ministro della Difesa sovietico, generale Dmitry Yazov, ha dichiarato ieri che il Fronte popolare «aveva messo in piedi una struttura che puntava ad impadronirsi del potere». E questa «struttura», per il generale Yazov, deve essere eliminata: «non siamo qui per arrestare tutti i militanti nazionalisti, ma per distruggere il nucleo che voleva rovesciare le istituzioni». Enrico Singer