I «pentiti» di Ceausescu di Guido Rampoldi
I «pentiti» di Ceausescu ROMANIA Da oggi in tv il processo al vertice del passato regime I «pentiti» di Ceausescu Autocritica dei gerarchi: «Avremmo dovuto opporci a Nicolae e Elena» Si dimette vicepresidente del Fronte: «Continuano i metodi stalinisti» BUCAREST DAL NOSTRO INVIATO Il vertice della dittatura in cella si è convertito alla rivoluzione, e oggi reciterà il suo «pentimento» nella grande sala dell'Accademia militare trasformata in aula giudiziaria. La diretta tv mostrerà ai romeni la viltà e la paura dei quattro uomini che ancora a metà dicembre avevano in pugno il Paese: Manea Manescu, primo ministro fino alla fuga di Ceausescu; Ion Dinca, il vicepremier; Emil Bobu, numero due del partito comunista; e Tudor Postelnicu, ministro degli Interni, tutti accusati di «complicità in genocidio» per la strage di Timisoara e i massacri successivi. Il Fronte spera così di rafforzare la sua immagine, appannata da lotte intestine culminate ieri nell'estromissione del vicepresidente, Dumitru Mazilu, presunto ex ufficiale della polizia segreta e leader della fronda interna al nuovo potere. Costretto alle dimissioni, ieri Mazilu ha contestato al Fronte il persistere di «metodi stalinisti» e una campagna-stampa a lui ostile basata sui dossier dei servizi segreti. I criminologi romeni dell'Università di Montreal, che hanno sottoposto gli imputati a un questionario, si sono trovati di fronte a mutazioni radicali: uno dei quattro ha chiesto ai suoi familiari soltanto un libro, la Bibbia, e ha detto di non voler leggere altro fino a quando non avrà compreso il Vecchio e il Nuovo Testamento. Un altro, il premier Manescu, ha voluto mettere per iscritto questa dichiarazione: «Rimpiango di non aver fatto nulla per cambiare il corso degli eventi e scongiurare questa tragedia nazionale. I due Ceausescu sono stati puniti come meritavano. Anche da un punto di vista politico e legale non si poteva fare altro che procedere all'esecuzione immediata». Con lo stesso zelo col quale fino al 22 dicembre amministravano il terrore, i quattro adesso si scagliano contro i loro padroni e complici d'un tempo, Nicolae ed Elena Ceausescu. Il primo, dice Manescu, «si ispirava a Hitler e a Stalin». «Paranoico per costituzione fisica e mentale, fanatico, perfido, sempre insidioso. Incolto. Considerava tutti come controrivoluzionari e sabotatori, adoperava un impressionante arsenale di bestemmie. Decideva su tut¬ to, in qualsiasi campo, senza analisi o dibattito, ritenendosi onnisciente». La moglie è stata «la nostra maggior disgrazia, perché è riuscita ad impadronirsi del potere, a penetrare nella direzione del pc e a prendere il partito sotto la sua tutela. Aveva un influsso assoluto». Come Manescu, i quattro adesso si raccontano come «semplici esecutori» di ordini impartiti dalla coppia luciferina. Ma si scagliano anche frecce avvelenate. Ancora Manescu: «Ai Ceausescu piacevano Bobu e la moglie, che li adulavano, non avevano cultura e giocavano a carte. Macché bridge, giocavano al "prete e lo sciocco" (un gioco infantile». Bobu ammette di essere stato il «prediletto»: «Confesso di aver docilmente eseguito gli ordini, anche se convinto di agire male. Mi rimprovero sapendo che è troppo tardi». I processi celebrati dall'Armata tenderanno a dimostrare che la dittatura non aveva base popolare. Nella redazione di «Romania libera», un milione di copie tirate ogni giorno, si at¬ tende molto di più: «Innanzitutto la verità sulla strage di Timisoara, sul numero dei morti», dice Corneliu Vlad, del Comitato di direzione. «Una stima è impossibile a causa delle complicità che legano autorità locali, civili, militari, sanitarie, perfino le pompe funebri, e terrorizzano la popolazione». Le testimonianze che il giornale ha cominciato a raccogliere sembrano indicare che i morti sono più dei cento dell'ultima valutazione ufficiale, contro i 4500 della valutazione iniziale (ma entrambe le stime potrebbero risultare errate). Due preoccupazioni potrebbero però consigliare i giudici militari a non inseguire fino in fondo la verità: salvare la reputazione dell'Armata, che a Timisoara avrebbe sparato; e non infiammare la minoranza ungherese, che ha dato il via all'insurrezione nel capoluogo. Si scanno riaffacciando «tensioni» tra l'etnia magiara e l'etnia romena nel Nord del Paese, ha avvertito ieri il presidente del Fronte, Iliescu. Guido Rampoldi
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