«Sofri è sincero?» di Adriano Sofri

«Sofri è sincero?» Processo Calabresi: parla la vedova del commissario assassinato «Sofri è sincero?» «Ha ammesso di avere scritto cose ignobili su mio marito» «Ma ho dubbi sull'autocritica, potrebbe essere strumentale» MILANO. «Adriano Sofri? Ho dei dubbi sulla sua sincerità...». La signora Gemma Capra, vedova del commissario Luigi Calabresi, esce dall'aula con Mario, Paolo e Luigi, i suoi tre figli. La sua deposizione è stata breve, neppure cinque minuti, appena il tempo di ricordare la sera del 15 maggio '72, quando il marito era rientrato alle otto di sera: «Gigi rientra presto, finalmente!», aveva scritto sulla sua agenda. Quella sera, poco distante dall'abitazione di via Cherubini, Leonardo Marino avrebbe rubato la Fiat 125, che sarebbe poi servita per l'agguato di due giorni dopo, il 17 maggio. Dalla signora Capra il presidente della corte d'assise, Manlio Minale, aspettava una conferma. «E' vero che suo marito il 15 maggio 1972 parcheggiò l'auto nel cortile di casa?». Sì, è vero. Particolare che conferma quanto ammesso da Marino. Luigi Calabresi doveva essere ucciso la mattina del 16 maggio, ma quel giorno la Fiat 500 del commissario non era parcheggiata al solito posto, di fronte al portone, bensì sulla rampa del garage di casa, in un punto in cui non poteva essere vista da fuori. Così Leonardo Marino, e a suo dire Ovidio «Enrico» Bompressi e un non identificato «Luigi», se ne andarono da via Cherubini per tornare la mattina del giorno dopo. Dalla brevissima deposizione di Gemma Capra un altro particolare. Il commissario Calabresi si era accorto di essere pedinato. «Non ha mai avuto la scorta — ha detto —, lo venivano a prendere con l'auto della polizia solo quando doveva essere presente alle perquisizioni». Nel portafogli, annotati su un ritaglio di giornale, Calabresi aveva scritto due numeri di targa di auto «sospette». La moglie li ha trovati dopo la morte, e uno di questi numeri di targa ha portato ad indagare su Giovanni Zambarbieri, allora aderente al «Centro Antimperialista Mao Tse Tung» di San Giuliano. Ma per Zambarbieri il giudice istruttore Antonio Lombardi ha poi deciso l'archiviazione. L'udienza dura in tutto mezz'ora. In meno di cinque minuti Gemma Capra conclude la sua deposizione. Esce con i figli e con Tonino Milite, il secondo marito che non si è perso un'udienza. Con i giornalisti parla più che davanti alla corte. Le domandano di Adriano Sofri, imputato di essere il mandante dell'omicidio, del suo interrogatorio e della sua autocritica sull'atteggiamento che Lotta continua aveva avuto nei confronti del commissario Calabresi. «Era doveroso che Sofri riconoscesse di avere scritto delle cose ignobili sulla morte di mio marito — è il suo commento fuori dall'aula —. Ma ho dei dubbi sulla sua sincerità perché sono parole dette tanti anni dopo e in un'aula di corte d'assise. Forse potrebbero essere strumentali alla sua difesa». Oggi il processo continua con l'interrogatorio di don Vincenzo Regolo, il parroco di Bocca di Magra che per primo ha ricevuto le confidenze di Marino. Poi toccherà a Flavio Bertone, ex senatore pei, vicesindaco di La Spezia, che Marino contattò per «avere consigli». Su questi «consigli» il settimanale II Sabato offre una tesi ben precisa: Bertone è ex senatore pei come Gianfranco Maris, il difensore di Marino: «Il partigiano che sapeva tutto», è il titolo. Secondo II Sabato Marino è un «pentito» strano, pieno di «buchi neri». E tutta la vicenda è «inquietante», [g. ce.J Gemma Capra, vedova Calabresi

Luoghi citati: La Spezia, Milano