«Baku diventerà un'altra Kabul» di Enrico Singer

«Baku diventerà un'altra Kabul» Mentre il Cremlino lancia nuovi segnali di dialogo e il pc locale cambia segretario «Baku diventerà un'altra Kabul» Un leader azero a Mosca minaccia Gorbaciov MOSCA DAL NOSTRO INVIATO «Se Michail Gorbaciov vuole un secondo Afghanistan, lo avrà. Noi lotteremo fino a che l'Armata Rossa non sarà ritirata da Baku e da tutto il territorio della Repubblica. Siamo pronti a combattere anche a lungo. Se sarà necessario ci costruiremo le armi da soli, ma lotteremo». Ektebar Mamedov quasi grida le sue parole. E' arrivato a Mosca da 24 ore e non ha dormito un attimo, ma di fronte ai giornalisti che affollano la sede della rappresentanza azera sembra ritrovare le sue forze. Mamedov ha 35 anni, è uno dei più giovani professori di storia dell'Università di Baku ed è uno dei leader del Fronte Popolare che sta sfidando il Cremlino. Sul portone della rappresentanza sventola la bandiera dell'Azerbaigian listata di nero e, nell'atrio, lungo le scale, nelle stanze ci sono centinaia di azeri con i distintivi nazionali all'occhiello. Tutti hanno la barba non rasata in segno di lutto per il massacro di Baku. E le prime frasi di Mamedov suonano come un ultimatum: l'Armata Rossa deve andarsene o la «guerra di guerriglia sarà inevitabile». Ma Ektebar Mamedov non è arrivato fino a Mosca — «in condizioni molto difficili» — soltanto per lanciare proclami. E' arrivato anche per trattare. A quale livello non vuole dirlo. Ma non fa misteri sugli obiettivi del suo movimento. Il Fronte popolare si definisce «nazionalista e democratico». Nazionalista perché vuole «affermare l'identità azera». Democratico perché è a favore del multipartitismo e perché «vuole conservare tutto quello che c'è di progressista nella società occidentale, salvaguardando le tradizioni orientali». E l'Islam? «Il Fronte non vuole creare nessuna Repubblica islamica». E i contatti con gli azeri d'Iran? «Il grande Azerbaigian è una linea di tendenza del Fronte. Ma i tempi non sono maturi. Dipenderà anche dall'atteggiamento degli azeri iraniani che dovrebbero sviluppare il sentimento nazionale più di quello islamico». A Mosca le voci che si pronunciano per una trattativa si moltiplicano. Fino a mercoledì erano delle indiscrezioni, adesso sono delle dichiarazioni ufficiali. La più significativa è quella del ministro degli Interni dell'Urss, Vadim Bakatin, che è arrivato ieri a Baku e che ha detto all'agenzia di stampa Tass che «bisogna distinguere le forze sane» che esistono all'interno del movimento nazionalista. E con il riconoscimento delle «forze sane», è implicita la pssibilità di un negoziato. Anche il portavoce del ministero degli Esteri, Gennady Gerasimov, ha pronunciato la parola «negoziati» per la prima volta da quando è esplosa la guerra nel Caucaso. Ha riferito di una proposta del Fronte azero per fermare l'esodo dei russi da Baku. Ha detto che il Fronte «si è impegnato a garantire l'incolumità delle famiglie dei militari e dei funzionari civili sovietici». Un'accoglienza quantomeno gelida da parte dei nazionalisti ha avuto la mossa politica giocata dal pc locale che, ieri, si è dato un nuovo segretàrio al termine di un Plenum straordinario del suo Comitato centrale. Al posto di Abdul Rahman Vezirov, «silurato» cinque giorni fa, è stato eletto Ayaz Mutalibov che era già primo ministro della Repubblica azera e che, ora, cumula le due cariche. Mutalibov dovrebbe rilanciare un partito allo sbando totale, scavalcato dai nazionalisti e abbandonato dalla base. Ma un portavoce del Fronte popolare, ha subito definito «immobilista» la scelta del pc. «Nella lotta per la segreteria — ha detto il portavoce — c'erano quattro candidati e uno di loro, Gassan Gassanov, era l'unico con il quale il Fronte popolare poteva stabilire un rapporto costruttivo. Ma è stato battuto». Enrico Singer In una strada di Baku la folla osserva una delle vittime negli scontri tra azeri e Armata Rossa

Persone citate: Abdul Rahman, Ayaz Mutalibov, Ektebar Mamedov, Mamedov, Michail Gorbaciov, Mutalibov, Vadim Bakatin