Attacchi a Fronte e Armata di Guido Rampoldi
Attacchi a Fronte e Armata Attacchi a Fronte e Armata «Dietro reticenze e menzogne c'è una nuova dittatura» BUCAREST DAL NOSTRO INVIATO La «rivoluzione» perde i suoi simboli della prima ora, e con essi un pezzo di credibilità. Si dimette dal Fronte padre Lazslo Tokes, il luterano il cui arresto infiammò Timisoara e diede il via alla sollevazione: per Tokes, e per i tre partiti storici romeni, la decisione del Fronte di presentarsi alle elezioni tradisce un progetto autoritario. Timisoara, la «cittàmartire», l'emblema della «rivoluzione», si rivolta contro il Fronte locale e contro l'Armata, accusati di nascondere la verità sul massacro cominciato domenica 17 dicembre, diventato un enigma. Alla vigilia di Natale il Fronte avallava la stima diffusa da agenzie di stampa dell'Europa Orientale — 4500 morti, migliaia di feriti —, assolveva l'Armata e addossava la strage alla Securitate, la polizia segreta. A fotografi e cameramen vennero mostrati cadaveri squartati, corpi bruciati, a conferma della reale ferocia dei «securisti». Un mese dopo la stampa cittadina scrive che le vittime accertate in realtà sono un centinaio. Quanto alla Securitate, 30 suoi uomini sono in carcere,' ma 250 sono liberi. Cos'è successo a Timisoara e che cosa sta cercando di nascondere l'Armata? Il massacro ci fu, le atrocità della Securitate sono reali. Ma perché sovradimensionare, a Timisoara come in tutta la Romania, un bilancio comunque terribile? Per provocare o legittimare un intervento internazionale, forse del Patto di Varsavia, suggeriscono alcuni; no, la colpa è della confusione del momento, ribattono altri. Ma l'interrogativo più scomodo investe l'Armata: chi sparò a Timisoara? «Colpevoli non sono i soldati, ma i loro superiori, che hanno dato l'ordine di sparare», ha gridato la folla nella dimostrazione del 21 gennaio, l'inizio degli scioperi, quando dal balcone del municipio alcuni operai hanno annunciato: «non torneremo a lavorare finché non sapremo la verità sul numero dei morti». Timisoara insorse il 16 dicembre. Quel giorno non si spara. Il giorno dopo a Bucarest Ceausescu convoca il Politbjuro e.processa il ministro dell'Interno, il capo della Securitate, il ministro della Difesa, Milea. Come risulta dal resoconto stenografico, i tre si scusano e garantiscono che rispetteranno l'ordine di Ceausescu: far mitragliare i dimostranti. Di fatto quella sera comincia il massacro. Cinque giorni dopo la radio annuncia che Milea si è ucciso. Secondo la versione ufficiale, si sarebbe rifiutato di mandare i soldati contro la folla. Milea adesso è un eroe dell'Armata. Uno strano patto sembra però ora legare, a Timisoara come altrove, la Securitate, quasi tutta in libertà, e l'Armata. Il suo rappresentante nel Banato, generale Popescu, con un colpo di mano è diventato anche presidente ad interim del comitato cittadino del Fronte. Al giornalista che chiedeva perché quasi tutti i «securisti» fossero liberi, ha risposto così: «Finché non troviamo le prove d'accusa, perché nutrirli in cella a spese della comunità?». Se a Timisoara il Fronte è stato posto sotto la tutela dell'Armata, a Bucarest è sotto accusa per la decisione di presentarsi alle elezioni. «Il governo e il Fronte devono dimettersi», scrivono in un documento congiunto il partito dei Contadini, i socialdemocratici e i nazionalliberali, decisi a formare una lista unica per tentare di scongiurare un trionfo elettorale del nuovo potere. I tre partiti sostengono che il Fronte non ha legittimità «rivoluzionaria», «alcuni suoi membri sono dissidenti dell'ultima ora emarginati dai capricci di Ceausescu», oppure «hanno contribuito alle persecuzioni di migliaia di romeni e ad instaurare la dittatura comunista». La situazione resta tesa. Oggi, anniversario della morte di Ceausescu, si temono disordini. Domenica è prevista una dimostrazione anti-Fronte che dirà quanto conta l'opposizione. Guido Rampoldi
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