Ma i capitali privati ci sono già di F. Gr.

Ma i capitali privati ci sono già Ma i capitali privati ci sono già DallW contratti e convenzioni imprese-Atenei ROMA. I soldi degli imprenditori da tempo finanziano molte ricerche delle università italiane. Sono le nude cifre a dire che l'ingresso dei capitali privati negli atenei — al centro, in questi giorni, delle contestazioni studentesche e delle accuse di voler «secolarizzare» l'università — è ormai un fatto compiuto da dieci anni: Bologna, ad esempio, nel 1985 ha incassato 7 miliardi e mezzo, destinati a finanziare ricerche finalizzate, consulenze e formazione del personale; il Politecnico di Milano 6 miliardi; Padova 3 miliardi; Palermo 1 miliardo circa. Nell'opera di «rastrellamento» dei capitali privati, la parte del leone è riservata alla facoltà di Ingegneria, ma anche Scienze, Medicina ed Agraria sono abili nello stipulare convenzioni con le imprese. Nell'ambito di Ingegneria, sono privilegiate l'area elettronica, quella dei materiali e l'energetica; meno l'ingegneria civile. Limitatissima, invece, la collaborazione tra mondo privato e le facoltà di Economia e Commercio, di Architettura, di Giurispruden- za e delle facoltà umanistiche. Gli studenti ribelli, insomma, quando gridano contro la «privatizzazione della ricerca» dimenticano — o forse non sanno — che nelle facoltà tecnicoscientifiche le convenzioni sono già molto numerose. Circa 2 mila, secondo uno studio della Fondazione Rui, che le ha anche classificate: il 63 per cento è rappresentato da finanziamenti alla ricerca applicata, il 10% sono consulenze, il 6% attività di laboratorio e collaudi, il 5% formazione di ricercatori, il 4% corsi di aggiornamento, il 3% consorzi tra università e imprese, il 2% iniziative promosse dalla Cee. Il restante 9% è costituito da accordi di vario genere. Secondo il censimento effettuato dalla Fondazione Rui, il 20 per cento delle commesse riguarda università milanesi, il 10 per cento Napoli e Torino. Nelle università, addirittura, esistono da diversi anni specifici uffici dedicati a «convenzioni e contratti» con il mondo esterno. L'ingresso di capitali privati negli atenei, quindi, non è una novità del progetto Ruberti: anzi, era esplicitamente previsto da una legge di dieci anni fa (la 382 del 1980, articolo 66) che prevede appunto «contratti di ricerca, di consulenza e convenzioni di ricerca per conto terzi» Da allora le università, secondo quanto stabilisce la leggo,stringono contratti con enti pubblici e privati per mezzo dei dipartimenti. I proventi poi vengono ripartiti tra il personale che materialmente provvede alle ricerche (metà della cifra al massimo) e le spese generali dell'università. Nei bilanci, quindi, compaiono regolarmente e da diversi anni le entrate legate ai contratti con i privati. Ci sono anche studiosi che ne hanno fatto oggetto di ricerche. La Fondazione Agnelli, ad esempio, ha voluto confrontare il peso dei committenti, privati delle diverse università, italiane e straniere. Le università del Centro-Sud — risulta dalla ricerca—hanno più committenti tra gli enti pubblici; quelle del CentroNord mostrano stretti legami con il mondo industriale. I contratti con l'industria, infatti, sono il 22 per cento del totale a Palermo, ma salgono al 59 per cento a Milano e diventano il 79 per cento a Bologna. Qualche esempio: a Torino, esiste una convenzione tra ii consorzio di varie imprese denominato «Tecnocity» e la facoltà di Lettere per un corso di studio in «tecniche della comunicazione», a cui si sono iscritti circa 200 studenti che vogliono seguire una carriera diversa dall'insegnamento. Sempre a Torino, è operante un'altra convenzione tra «Tecnocity» e il Cisi (Centro interdipartimentale scienze informatiche) che dovrebbe fruttare software per personal computer destinato agli studenti universitari e liceali. Anche a Roma le convenzioni con gli esterni sono operanti da tempo. Se ne ricorda in particolare una con l'Ansaldo per mettere a punto una macchina elettronica in campo medico; altre con l'Enea, con il Cnr, con la Cee e con gli enti locali. «I nostri requisiti per stipulare una convenzione con i privati — spiega il rettore della Sapienza, Giorgio Tecce — sono chiari: chiediamo la possibilità per i nostri ricercatori di pub blicare i risultati della ricerca e non accettiamo progetti di na tura militare. Su ogni proposta, poi, si pronuncia prima il Senato accademico, poi il Consiglio di amministrazione». Nel confronto con università straniere, però, soltanto qua! che ateneo italiano riesce a non sfigurare. Il Politecnico di Tori no (finanziamenti esterni di 3 miliardi circa), ad esempio, presenta una situazione simile a quella di Cambridge (2 miliardi e 800 milioni), di Edimburgo (1 miliardo e mezzo) o di Grenoble (6 miliardi). Resta su un altro pianeta, invece, Stoccarda che incassa da commesse esterne ben 30 miliardi, o il famoso Mit (Massachusetts Institute of Te chnology) di Boston che racco glie 45 miliardi. In Europa, poi — sottolineano i ricercatori della Fondazione Agnelli — sono molto diffuse le donazioni liberali, favorite dal fisco e ampiamente pubbli cizzate. La ricerca italiana a metà tra scienza pura e imprenditorìa è invece pochissimo conosciuta C'è la rivista «Scienza e cultura» dell'università di Padova che tratta anche i rapporti con il mondo esterno; un'altra a Bo logna. Le maggiori, invece, fan no poco o nulla. [f. gr.]

Persone citate: Cisi, Giorgio Tecce, Ruberti