La battaglia di Bucarest, un mese di misteri di Guido Rampoldi

La battaglia di Bucarest, un mese di misteri Versioni ufficiali che non convincono, silenzi, contraddizioni: l'Armata custodisce la verità sulla rivoluzione La battaglia di Bucarest, un mese di misteri // capo della Securitate non è tra gli imputati del regime Nessuno vuole rivelare il numero dei «terroristi» uccisi BUCAREST DAL NOSTRO INVIATO Un mese fa, in queste ore, la sorte della Romania sembrava legata alla battaglia di Bucarest, uno dei più strani e misteriosi eventi bellici del dopoguerra. Il coraggio dimostrato da alcune unità, comunque solo una parte dell'Armata, ha permesso alle gerarchie militari di assumere un ruolo di primo piano nel governo e di opporre tenaci omissioni agli interrogativi più scomodi. Ma da quando piccole crepe cominciano ad aprirsi nell'oleografia ufficiale, si diffonde il sospetto che la rivoluzione sia stata rapinata della verità. «Stiamo preparando un libro bianco», annuncia Sergiu Cunescu, leader dei socialdemocratici. Tra i quadri militari che hanno combattuto c'è delusione: «I comandanti che erano strumenti di Ceausescu sono rimasti al loro posto», protesta il caporale Popeanu. E il capitano Mihalache: «E' vero che l'Armata ha sparato sulla folla a Timisoara? Devono dirci la verità». La verità non preme ai vertici militari che guidano la Difesa e gli Interni: negli ultimi giorni hanno assolto le Ucla (unità segrete anti-terrorismo), la Securitate (polizia segreta) e la Milizia, giurando che i tre Corpi sono sempre stati al fianco dei rivoluzionari. Resta da spiegare perché, per esempio, a Sibiu l'esercito attaccò e distrusse le ca- serme della Milizia e della Securitate. Il più potente generale della Securitate, Vlad, non figura tra gli imputati dei processi alla dittatura, che l'Armata intende ridurre a giudizi contro la minuscola cerchia di dignitari del pc troppo lenti o troppo compromessi per abbandonare in tempo il carro di Ceausescu. L'Armata si glorifica. E nasconde che in realtà era divisa. Chi ha ucciso i 31 soldati trovati nei pressi dell'aeroporto di Bucarest? I «terroristi», nella prima versione. L'Armata, per un tragico errore, nella seconda. Poi il quotidiano «Romania libera» scopre che sono stati freddati con un colpo alla testa; e che uno, sopravvissuto per due ore, raccontò nell'agonia: sono stati «i nostri superiori» perché il 21 a Bucarest rifiutammo di sparare sulla folla. Se Milizia, Securitate e tutta l'Armata erano con la rivoluzione, contro chi hanno guerreggiato? «Contro forze speciali di sicurezza addestrate di nascosto», risponde la Difesa. Ma dietro questa definizione c'è il nulla. Il numero due della Procura militare, Diaconescu, neppure vuol dire il numero dei «terroristi» uccisi o in attesa di giudizio. Si tratterebbe al massimo di poche migliaia. Molto addestrati, ben equipaggiati, ma privi di mezzi anti-carro: com'è possibile che per tre giorni abbiano tenuto testa a tutto l'apparato militare romeno? Di fatto c'erano solo 300 sol¬ dati a difendere la sede della tv, l'obiettivo dal quale dipendevano le sorti della rivoluzione. L'attacco cominciò nel pomeriggio del 22, quando dai sotterranei di Bucarest sbucò una strana forza militare. Gli otto ufficiali intervistati da «Romania literaria» la descrivono così: «Civili, divisi in gruppi, in genere vestiti di nero o con sciarpe rossonere. Alcuni con lo stesso tatuaggio sul petto, altri con il biglietto da visita di Ceausescu in tasca. Uscivano dai tunnel, dal cimitero militare, sparavano su bambini, ambulanze, ricoverati, sulla folla, dai balconi, facendosi scudo con ostaggi. Cercavano soprattutto di farci sparare tra di noi». I militari erano nel caos. «Avevamo soldati con due mesi di addestramento. Poca benzina. Nessun coordinamento. E la gente ci creava un sacco di problemi. Avevamo i tanks, ma come facevamo a sparare?». Il colonnello Vartic: «C'erano gruppi di tre con sei o dieci simulatori di lampi e di scoppi di mitragliera. Noi sparavamo dove non c'era nessuno. Abbiamo trovato mitragliere che sparavano automaticamente, con un programma elettronico che stabiliva il puntamento. E palloni aerostatici con simulatori, che ci convinsero di un attacco aereo sulla sede della tv». Nessuno saprà mai quanti civili e soldati sono stati massacrati per errore dall'esercito, in quell'inferno. Arrestati, i terroristi si rivelano in genere «falliti, orfani, con l'istinto di autoconservazione annullato, fanatizzati da una vita di casta, consacrata a Ceausescu; una setta in cui chi era sospetto veniva subito eliminato» (così lo psichiatra Sebastian Neagu). Alcuni «avevano un'incredibile doppia vita»: operai, tipografi, un caporale che supplica «non ditelo a mia moglie, non sa». Poi i «robot di Nuta», generale della Securitate, con armi modernissime. Poi parenti, ex detenuti soprattutto zingari. Alcuni si protestano innocenti, altri delirano: «Siamo i bambini di Ceausescu; lui mi ha ridato dignità e io morirò per lui; fucilatemi pure, mi sono divertito». Tra gli ufficiali che vinsero la battaglia di' Bucarest, alcuni oggi si chiedono dov'erano i generali che avrebbero dovuto assicurare il coordinaménto dell'Armata. Probabilmente alcune gerarchie rimasero neutrali, fin quando Ceausescu non fu ucciso; poi, forse dopo patteggiamenti, saltarono sul carro della rivoluzione. Così anche la Securitate, che però, probabilmente, fu più previdente. Il 22 presidiava il Comitato Centrale: se avesse sparato, come la sera prima, Ceausescu non sarebbe stato costretto alla fuga (sempre che mentre saliva sull'elicottero non fosse già prigioniero). Nel palazzo alcuni notabili del pc formarono un governo provvisorio, durato 22 minuti. Poi la folla irruppe all'interno. Arrivò il futuro premier Roman, poi Dumitru Mazilu, ora vice presidente del fronte. Masilu, adesso accusato di essere stato un colonnello della Securitate, lesse il programma per la futura Romania. Ma quando l'aveva scritto, se era stato appena liberato da una prigione della Securitate, secondo quanto lui ha raccontato?, chiede «Romania libera». E domanda ad un altro personaggio di reputazione dubbia entrato nel fronte: «Dov'era quando l'elicottero di Ceausescu partì e a chi telefonò per dire: è tutto in regola. Sono nel fronte». Guido Rampoldi Studenti romeni manifestano ai ministero dell'Educazione Chiedono democrazia