L'ultima notte del pc jugoslavo di Tito Sansa

L'ultima notte del pc jugoslavo Ufficialmente il Congresso è «sospeso», ma nessuno si illude sul futuro del partito L'ultima notte del pc jugoslavo Cronaca della battaglia tra i serbi egli sloveni BELGRADO DAL NOSTRO INVIATO «La Lega comunista jugoslava non esiste più» è il titolo su tutta la prima pagina con cui il quotidiano «Borba» annuncia il fallimento del congresso straordinario del partito, culminato con il clamoroso abbandono della delegazione slovena. Della medesima opinione sono «Oslobodjenje» di Sarajevo, «Viesnik» di Zagabria, che intitola «Disintegrazione», e «Delo» di Lubiana che scrive «Il gioco è finito. Non solo non esiste più il partito jugoslavo unico, anche la Jugoslavia è cambiata». Tutti d'accordo: è finita un'epoca cominciata con il presidente Tito, «nulla sarà più come prima». Gli unici che non vogliono ammetterlo sono i comunisti serbi del «vojvoda rosso» Milosevic, sconfitti dal congresso che proprio loro avevano fatto convocare per ricompattare il partito. Il loro quotidiano «Politika» intitola semplicemente «La battaglia per il partito-La delegazione slovena abbandona il congresso». Eppure, mentre si avvicinava l'alba e i primi tram carichi di operai cominciavano a passare dinanzi al modernissimo Sava Centar, la fine del partito unitario era palese, persino patetica. Se ne sono resi conto lo sconfitto Milosevic, pallidissimo e teso, che ha rifiutato qualsiasi dichiarazione, e molti degli oltre 1600 delegati che se ne sono andati alla spicciolata, travolti dalla stanchezza, amareggiati e con i visi contratti. Nessuno sorrideva, neppure gli sloveni, i vincitori del braccio di ferro durato tre giorni e una notte. Quando hanno abbandonato l'aula, accompagnati da applausi di scherno di una parte dei delegati, alcuni di loro piangevano. Alle 9 del mattino tutto era finito, il Sava Centar era deserto, del congresso non c'era più traccia. Ammainate le decine di bandiere rosse, smontati i telefoni, scomparse le guardie e le apparecchiature elettroniche di controllo. La rottura tra i riformisti sloveni — venuti per avviare la democratizzazione e non perdere l'autobus delle riforme attuate in tutti i Paesi dell'Est europeo — e i conservatori serbi, arroccati sulle posizioni centraliste, era nell'aria da diversi giorni. Gli sloveni — si è saputo ieri — avevano addirittura pronto un aereo speciale della compagnia Adria per farsi riportare a Lubiana (cosa che hanno fatto ieri mattina) non appena il congresso fosse fallito. Aggressivi come poche volte, avevano cercato per giorni d'imporre le loro tesi. Quando hanno visto che non ce la facevano hanno abbandonato l'aula. «Le nostre richieste fondamentali per l'adesione all'Europa, per i diritti civili e per la fine della tortura sono state respinte — ha detto il presidente del partito sloveno Ribicic —. Non abbiamo più voglia di continuare la guerra, non vogliamo essere corresponsabili dell'agonia della Lega comunista». A questo annuncio, i 139 delegati sloveni (neppure il 9 per cento dell'assemblea) si sono alzati e sono usciti in blocco. Non tutto era perduto, i rimasti hanno cercato di salvare il congresso. Il croato Ivica Racan ha proposto di sospendere il congresso e di riprenderlo fra qualche settimana, dopo consultazioni nelle diverse Repubbliche. E' insorto allora, violento, con tono tribunizio, il serbo Milosevic, insistendo perché si continuasse senza i disertori sloveni. E ha proposto che si rifacesse la conta dei presenti e che a decidere fossero il comitato centrale e la presidenza. Nei corridoi fumosi e surriscaldati del Sava Centar è scoppiata una bolgia, tutte le delegazioni si sono riunite per consultarsi (a eccezione di quella serba che non aveva nulla da discutere in quanto compatta dietro al suo capo). Si è riunita anche quella della Vojvodina fagocitata di recente dalla Serbia, segno palese dello scollamento, si sono appartati anche i 67 delegati delle Forze Armate, Quando sono usciti erano le due e mezzo del mattino. Gli sloveni erano già ripartiti. E qui è venuta la prima chiarificazione: ad appoggiare la tesi della sospensione si sono schierate Croazia, Bosnia e Macedonia e anche (e questa è stata l'autentica sensazione della lunga notte) i militari, finora considerati fautori delle tesi di Milosevic. Per la continuazione immediata suggerita da Milosevic, soltanto Serbia, Vojvodina e Kosovo. I giochi erano fatti, decisivo è stato l'atteggiamento dei militari. Dopo le tre e mezzo del mattino, il presidente del partito, Milan Pancevski, ha letto il documento della presidenza trovando una formula equivoca: «Non sospendiamo il congresso — ha detto —. Lo interrompiamo. La terza riunione plenaria verrà convocata dal comitato centrale, dopo che tutti i comitati centrali delle Repubbliche e delle regioni avranno studiato la situazione». Insomma, è stato deciso (all'unanimità, con solo due voti contrari) di sospendere facendo finta che si continui. Ma ormai era chiaro: è improbabile, forse impossibile, che la Lega comunista jugoslava torni a riunirsi. Perché la Lega non esiste più: esistevano due mentalità, ora esistono due partiti, uno stalinista e uno socialdemocratico, anche se non sulla carta. Vincitori sloveni e sconfitti serbi se ne sono andati mesti. Una sola persona durante la lunga notte era serena. Era il primo ministro Markovic, il quale ha detto ieri che «la Jugoslavia funzionerà tanto con, quanto senza la Lega comunista jugoslava». Tito Sansa austria Capo del partito: Ivica Racan Si è alleata alla Slovenia nel chiedere il sistema pluripartitico (è in corso la legalizzazione presso l'assemblea croata), l'abolizione del centralismo democratico, l'uguaglianza tra i partiti delle varie Repubbliche in seno al partito federale: la riforma economica ovvero l'economia di mercato e la tutela del diritti umani. SLOVENIA ungheria italia CROAZIA VOJVODINA romania Capo del partito: Bogdan Trifunovic (ma II leader è Milosevic, presidente e uomo forte della Repubblica). Difende il partito unico; il centralismo democratico; il voto a maggioranza nelle decisioni che riguardano il partito. E' l'unica Repubblica a votare contro le misure economiche prese dal governo di Markovic. Sulle posizioni di Milosevic sono allineati i vertici delle due regioni autonome di Kosovo e Vojvodina. BOSNIA E ERZEGOVINA Capo del partito: Ciril Ribicic Chiede il sistema pluripartitico (già legalizzato dall'assemblea slovena), l'abolizione del centralismo democratico, l'abolizione del voto a maggioranza per le decisioni vitali del partito, l'economia di mercato, l'adesione alla CEE, l'abolizione di tutte le leggi che limitano la libertà. SERBIA MONTENEGRON KOSOVO Capo del partito: Niaz Durakovic Si batte per il sistema pluripartitico; un democratico (ma al congresso un gruppo di delegati ha proposto la divisione della Lega jugoslava in due partiti, uno comunista e uno socialista); l'economia di mercato, la tutela della nazionalità musulmana (il partite della Bosnia e Erzegovina è l'unico con tre nazionalità: musulmani, serbi e erbati). MACEDONIA Capo del partito: Momir Bulatovic Chiede il sistema pluripartitico; un partito comunista unito; il centralismo democratico all'interno del partito. Ma sj batte anche per l'economia di mercato e la rivoluzione antiburocratica. Armata popolare jugoslava. Capo del partito: Ammiraglio Retar Simic. Difende il partito unito; a lungo contrari al pluripartitismo ora i militari si dicono contrari soltanto ai partiti nazionalistici. Un sistema centrale di difesa del Paese. Lottano per la riforma economica e contro chi vuole la depoliticizzazione dell'esercito. ( albania ^^/gbecia^ Capo del partito: Petar Gosev E' schierato a favore del sistema pluripartitico; di una lega comunista democratica e per l'economia di mercato.