L'okra nel piatto

L'okra nel piatto Si prova un nuovo tipo di ortaggio L'okra nel piatto Viene dal Sud Est asiatico, cresce rapidamente. La sua resa può toccare i 60 quintali per ettaro TORINO. Un nuovo ortaggio sta suscitando grande interesse nel mondo dell'agricoltura italiana. Arriva da molto lontano, è infatti originario del Sud-Est asiatico: il suo nome è «okra» (lady's fingersi. Largamente coltivato in India, Africa occidentale, Brasile e Florida, ha destato un notevole interesse anche nell'orticoltura di alcuni Paesi dell'Europa come la Grecia, la Bulgaria e la Turchia. In Italia, per ora, lo si può trovare solo in alcuni negozi di primizie, mentre è ben conosciuto nei mercati orto-frutticoli svizzeri, tedeschi e inglesi. Fin dal 1979 la Fao ha inserito l'okra tra gli undici ortaggi cui dare priorità per il miglioramento alimentare delle zone tropicali e ciò ne sottolinea la grande importanza dietetica. Presto vedremo dunque spuntare l'okra tra piante di pomodoro, zucchine e fagiolini e, come già hanno fatto altri profumati e succosi frutti esotici, verrà ad arricchire la nostra tavola di inediti sapori. E' una pianta annuale e può raggiungere i 2,5 metri di altezza, ma la sua statura varia di molto a seconda della cultivar. L'accrescimento è assai veloce e già 35-40 giorni dopo la semina produce un grande fiore simile a quelli del cotone e dell'ibisco ornamentale, di aspetto molto gradevole con petali di colore bianco e giallo. Il fiore ermafrodita dell'okra si apre solo al mattino per uno o due giorni: normalmente si autoimpollina, ma l'operazione può essere facilitata dall'azione di bombi e api. Il frutto, di forma allungata, a maturazione commerciale si presenta di colore verde o rossastro, mentre se la maturazione è avvenuta fisiologicamente appare di colore bruno. Giacché di norma è molto tenero può essere consumato dopo una breve cottura, sia lessato sia fritto, e risulta particolarmente gradevole se utilizzato insieme ad altri ortaggi per la preparazione di minestre. Un recente studio condotto dall'Istituto di miglioramento genetico della facoltà di Agraria dell'Università di Torino ha messo a punto una tecnica colturale specifica adatta all'Italia settentrionale. Obiettivo di questa ricerca, iniziata nel 1979 e diretta da Luciana Quagliotti, ordinario di Produzione delle sementi, era innanzitutto verificare l'anda¬ mento e la resa ortiva dell'okra nell'ambiente piemontese. Allo scopo di verificare l'accrescimento della pianta in differenti situazioni ambientali è stata fatta una campionatura sperimentale in due località piemontesi: Schierano in provincia di Asti e Boves in provincia di Cuneo. Durante la permanenza in campo le piante hanno mostrato nella stazione di Boves uno sviluppo e una capacità produttiva decisamente inferiori rispetto a quelle estrinsecate a Schierano. Queste differenze apparivano verosimilmente imputabili alle carenze termiche dell'ambiente cuneese. Il confronto tra le temperature massime di Boves e Schierano rivelava infatti scarti del valore di 8 gradi centigradi. La sperimentazione decennale diretta dalla professoressa Quagliotti ha evidenziato dunque l'importanza dei fattori climatici per una buona resa della coltura. Per l'introduzione e l'ottimizzazione della coltivazione dell'okra nelle nostre campagne, terreno e concimazione non richiedono attenzioni particolari, mentre è fondamentale che la temperatura non scenda mai al di sotto dei 20 gradi di notte e dei 26 gradi di giorno giacché l'esposizione della pianta a temperature più basse di queste produce depigmentazione e necrosi delle foglie. Occorre inoltre che la semina venga effettuata nel mese di aprile, sotto un tunnel non riscaldato, e che il trapianto avvenga nel periodo maggio-giugno quando la temperatura minima si mantiene superiore ai 15 gradi. I frutti si raccolgono per la maturazione commerciale dall'inizio di luglio a tutto il mese di novembre. La pianta, stimolata dal continuo distacco dei frutti, rifiorisce e fruttifica nuovamente. La resa può variare, a seconda della località di impianto e della cultivar, dai 30 ai 60 quintali per ettaro. «In definitiva le esigenze dell'okra in fatto di clima e di tecnica colturale — precisa la professoressa Quagliotti — possono essere assimilate a quelle delle peperone, un ortaggio anch'esso di origine tropicale che nel tempo è divenuto diffusissimo in tutto il mondo». Gianni Stornello

Persone citate: Gianni Stornello, Luciana Quagliotti, Quagliotti, Schierano