Contratti difficili con l'Est

Contratti difficili con l'Est Dietro le cifre ufficiali (mille intese già Armate) spuntano i problemi Contratti difficili con l'Est Solo 40 alleanze al via, 14 già in crisi LONDRA. «All'Est non chiedono altro che merci di buona qualità. Per cui non dovrebbe essere difficile riuscire a vendere quello che produciamo», dice Godfrey Linnett, che coordina le operazioni della Allied Lyons, la società alimentare inglese, nei Paesi del Patto di Varsavia. E quello che c'è di buono nella realtà economica di quest'area verrà fuori con un po' di aiuto da parte della tecnologia e dei dirigenti occidentali. E all'Ovest ce la stanno mettendo proprio tutta. Perché è una grossa opportunità. Compresa la Russia, quello dell'Est rappresenta un mercato di 420 milioni di persone, contro i 342 della Comunità europea. Il prodotto nazionale lordo della Cee nel 1988 è stato di 5509 miliardi di dollari contro i 1420 della Russia e i 473 del resto dei Paesi del blocco orientale. L'Asea-Brown-Boveri, ad esempio, il gruppo elveticosvedese che si occupa della produzione di energia, è sulla buona strada per ottenere il controllo della Zemech, la produttrice polacca di turbine e generatori, che entrerà a far parte della sua rute mondiale. «Con quest'accordo potremo raggiungere il nostro obiettivo che è quello di diventare i produttori più competitivi sul versante dei costi», spiega Eberhard von Koerber, responsabile del gruppo per l'Europa Orientale. All'Est, d'altra parte, il capitale occidentale è molto gradito, soprattutto se investito in settori quali beni di consumo, elettronica, telecomunicazioni e informatica, anche se esistono ancora molte restrizioni imposte dal Comecon, l'organizzazione economica che rappresenta una sorta di Cee dell'Est. Nel breve termine, le maggiori opportunità dovrebbero riguardare le importazioni di beni di consumo, come ad esempio le 500 auto Nissan dirette ai minatori siberiani, per il tentativo del governo di soddisfare i bisogni dei consumatori per troppo tempo trascurati. Ma, nel lungo periodo, le società non dovranno limitarsi a importare i beni, ma dovranno iniziare a produrli in collaborazione con le società occidentali. Per gli imprenditori dell'Est significa imparare nuove regole. Ma, anche ad Ovest è ora di abbandonare il vecchio modo di fare. I Paesi del Patto di Varsavia non vanno considerati come un blocco unico. Ma vanno studiati a fondo per capirne le differenze. Ad esempio, la Jugoslavia e la Polonia sono per tradizione più aperte verso l'Occidente di altri Paesi quali la Cecoslovacchia o la Bulgaria. Per ironia della sorte, la maggiore chiusura della Cecoslovacchia e della Romania si è tradotta in un minore carico del debito estero. Il pagamento degli interessi rappresenta il 16% delle entrate dall'estero in Cecoslovacchia e il 27% in Romania, contro il 45% dell'Ungheria e il 43% della Polonia. Diverso è pure l'atteggia¬ mento nei confronti delle joint ventures. Per il governo della Germania Est è possibile che gli stranieri detengano la maggioranza del capitale delle joint ventures, contrariamente al tetto massimo fissato del 49%. La legge cecoslovacca, invece, è molto più rigida di quella polacca o ungherese. I profitti derivanti dagli accordi con una società straniera vengono tassati al 40% e una somma pari al 50% dei costi salariali deve essere versata in un fondo di assistenza sociale. Per molti di questi Paesi, poi, le esportazioni sono in buona parte dirette agli altri membri del Comeccn. Circa l'80% degli scambi della Cecoslovacchia avviene con gli altri Paesi socialisti, e il 70% in Germania dell'Est. Con il Comecon messo fuori gioco questo sistema di scambi verrebbe a cadere e alcuni di questi Paesi subirebbero una recessione. Su un aspetto c'è uniformità tra i diversi Paesi dell'Est. Gli investimenti delle società vanno realizzati in un'ottica di lungo periodo. La maggior parte delle imprese, però, non riesce a entrare in questo ordine di idee. E questo crea numerosi problemi. Uno dei principali è come proteggere il proprio investimento, visto che la partecipazione non può essere rivenduta su di un normale mercato azionario nel caso in cui dall'operazione non vengano i risultati sperati. L'unica soluzione, allora, è orientarsi solo su investimenti che possono rientrare nel giro di due anni. Un altro problema è il rimpatrio dei profitti. Come un utile in fiorini ungheresi o in zloty polacchi può essere convertitoin valuta occidentale? Nonostante l'aggravarsi della bilancia commerciale, è in crescita il numero di organizzazioni che possono utilizzare valute convertibili per pagare le importazioni. E in Polonia si sta realizzando un primo tentativo di rendere omogenei i tassi ufficiali e quelli del mercato nero. In Ungheria sono più cauti, ma la tendenza seguita è la stessa. Le maggiori differenze tra i due tassi rimangono in Russia e in Germania Est. Dopo l'apertura del muro di Berlino nella Repubblica Democratica il tasso di cambio sul mercato nero è sceso a cinque pfennig. Il tasso ufficiale, invece, è di un dollaro per un marco tedesco. Questo, comunque, è il fattore chiave per le economie dell'Est. Finché non verrà garantita la piena convertibilità non sarà possibile una reale ed effettiva integrazione fra Europa dell'Est e dell'Ovest. Nel frattempo, bisogna ricorrere a degli stratagemmi per evitare perdite sugli investimenti realizzati. Uno è quello della lei che, in Polonia, trattiene il 40% degli utili che un produttore di mobili polacco, cui è collegata, guadagna dalle esportazioni. Anche la contabilità può rappresentare una difficoltà. All'Est sono abituati a operare sulla base delle quantità, piuttosto che dei prezzi. Secondo la Price Waterhouse non esiste la contabilità come professione indipendente o come servizio fornito alle imprese. In Ungheria, però, è in preparazione una codificazione di tipo occidentale. Un altro problema, ancora, è la qualità. Non c'è invece mancanza di personale che abbia voglia di lavorare nelle società miste. Però, in alcuni Paesi esistono delle limitazioni, per cui le società possono basarsi solo sul numero e il tipo di lavoratori che gli vengono assegnati. Molte di queste difficoltà sono state prese in esame dai governi dell'Est. La Russia e la Cecoslovacchia, infatti, sono intenzionate a modificare le rispettive leggi sulle joint ventures per rendere più semplice alle società straniere il rimpatrio dei profitti e la rivendita sui mercati nazionali. Perché finora il bilancio delle joint ventures occidentali all'Est non è molto positivo. Ad esempio, in Unione Sovietica, solo 40 delle mille joint ventures denunciate sono operative. E, secondo voci non ufficiali che circolano a Mosca, 14 di queste 40 sono in via di liquidazione. Charles Leadbeater Nick Gameti Peter Marsh Copyright «Financial Times» e per l'Italia "La Stampa» URSS L'ANNO DELLE JOINT • VENTURES /] INIZIO 1988 OTTOBRE 1988 TOTALE INIZIO '88 165 TOTALE META' GIUGNO '88 1375 TOTALE OTTOBRE '88 2090 327 138,3%] • 247 [19,8%] I PAESI SOCIALISTI 88 [11,2%] IN URSS CHI PAGA ET EUROPA DATI IN MILIARDI DI DOLLARI E PERCENTUALE SUL TOTALE DEGLI INVESTIMENTI NELL' UNIONE SOVIETICA

Persone citate: Boveri, Brown, Charles Leadbeater Nick, Eberhard Von Koerber, Godfrey Linnett, Lyons, Peter Marsh, Price