Pietrostefani: «Tutte menzogne»

Pietrostefani: «Tutte menzogne» L'ex leader di Le, presunto mandante dell'omicidio Calabresi, smentisce Marino Pietrostefani: «Tutte menzogne» «Ero convinto che quel delitto sarebbe stato negativo per noi» Poi tanti «non ricordo» e «non c'ero». Da oggi tocca a Sofri MILANO. Risposte sicure: «Non ricordo», «non c'ero», «escludo». Giorgio Pietrostefani, 46 anni, ora manager alle «Officine Reggiane», allora dirigente nazionale di Lotta Continua, indicato da Leonardo Marino come mandante del delitto Calabresi, per quasi tre ore ha risposto alle domande. «Marino mente», è la sua tesi. E gli altri, anche gli ex compagni di Le che hanno confermato il racconto di Marino, «sbagliano». Come Paolo Buffo, che dice di averlo visto a Roma, nella redazione di Le, quando arrivò la notizia del delitto. Secondo Marino, Pietrostefani era nella redazione romana in attesa della notizia dalle telescriventi Ansa. Presidente: in istruttoria lei ha dichiarato di non ricordare dove fosse il 17 maggio '72... Pietrostefani: «Ma al secondo interrogatorio l'ho detto: a Roma». Ha ricordi precisi? «Un amico mi ha ricordato di avermi incontrato. Io avrei detto che quel fatto danneggiava la nostra attività politica». Ma Buffo dice che lei era in redazione con Sofri. «Secondo me sbaglia». A fine luglio '88, il giorno prima degli arresti, una telefonata di Pietrostefani viene intercettata. Presidente: nella telefonata lei dice: «Sono cose molto vecchie... bisogna stare in campana, io so bene di cosa si tratta, ma non è il caso di parlarne al telefono...». Che vuol dire?. Pietrostefani: «Erano cose relative all'azienda». —Cosa? «Cose relative all'azienda». Proprio sicuro, Pietrostefani. Marino, oltre che come mandante, lo indica come organizzatore, il filtro tra l'Esecutivo politico di Lotta Continua e il «livello occulto». Silveria Russo, ex Le passata a «Prima Linea» definisce Pietrostefani «il braccio organizzativo» e Sofri «la mente politica». Il senatore Marco Boato, in istruttoria, parla di Pietrostefani come «Coordinatore del Centro-Nord e responsabile della sede milanese». Risposta: «Coordinatore nel senso che convocavamo e coordinavamo le riunioni». Il giorno dell'assassinio Pietrostefani era latitante, accusato di «apologia di reato» per un volantino diffuso a Milano. Ripete, dunque, che non può essere stato nelle sedi di Lotta Continua, a Milano o Torino o Roma, appunto perché ricercato. Il presidente gli fa notare che, ricercato o meno, ai primi di maggio '72 era a Rimini, al tavolo della presidenza, per il congresso nazionale di Lotta Continua: «Ma sono andato via dopo mezza giornata e mi sono trasferito a Roma». Presidente: lei ha conosciuto Marino nel... «Nel '69 a Torino. Era del reparto 54 di Mirafiori». Poi l'ha rivisto nel '71... «L'ho visto sempre. Nel '73 distribuiva il giornale». L'ha rivisto nel '75... «E' un'invenzione di Marino». Invenzione lo dice lei: lo deciderà questa Corte. Ha incontrato Marino e ha discusso con lui... «Escludo di aver mai discusso di politica con Marino. Al massimo gli avrò chiesto "è arrivato il giornale?", "c'è nebbia a Caselle?"». Con Sofri ha mai parlato del delitto Calabresi? «Non credo di aver mai parlato di questo episodio delittuoso. 0 non ricordo...». Per Le Pietrostefani ha girato l'Italia. E' stato anche in Germania, nella primavera del '72, poco dopo la scoperta di armi in un appartamento di via Boiardo a Milano (per la storia recente, il primo «covo»). In quei giorni, in una trattoria di Milano, il signor Franco Tardino sente, e poi lo riferà alla Questura, lo strano discorso tra una ragazza e un giovanotto: «Dicevano che il capo si è spostato da Essen ad Amburgo e ha detto che bisogna eliminare Calabresi». Risposta: «Mai stato a Essen. Se mi chiamavano capo? Qalche ironia forse c'è stata, ma mi chiamavano Pietro, approfittando del cognome». La sua militanza, dice, ha avuto momenti di crisi. E' stato nel '71, quando la «campagna nazionale contro il fascismo non trovava adesione operaia». Il presidente vuol capire: «La sua crisi nasce dal fallimento di quella campagna e dalla scoperta di basi di altre organizzazioni. Quale la soluzione?». E vuol sapere come commentò il delitto Calabresi: «Ero latitante e non feci sentire la mia voce. Posso aver difeso, convinto o no, la posizione del giornale». Presidente: che significa convinto o no?. Risposta: «Ero convinto che quell'assassinio avrebbe avuto ripercussioni devianti rispetto a quelli che erano gli obiettivi prioritari». Di quegli anni, quando non era ancora affermato manager ma responsabile della sede milanese, Pietrostefani non sa. O non ricorda o non c'era. Così finisce il suo interrogatorio. Da oggi tocca a Sofri. Giovanni Cerniti