Soffia sul Golfo il vento della glasnost di Mario Ciriello
Soffia sul Golfo il vento della glasnost La «rivoluzione dell'89» nell'Europa dell'Est contagia l'Islam, in allarme i governi arabi Soffia sul Golfo il vento della glasnost Nel Kuwait i cortei del lunedì: «Vogliamo la democrazia» LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Da qualche settimana un grido si leva ogni lunedì a Kuwait. «Vogliamo il Parlamento, vogliamo la democrazia», chiedono centinaia, e talvolta migliaia, di dimostranti, mentre la polizia, nervosa ma non aggressiva, tenta di impedire che le loro colonne dilaghino per le strade della piccola capitale del piccolo emirato del Golfo. Le aspirazioni accese dagli eventi nell'Europa orientale toccano gli angoli più remoti del nostro pianeta; la perestrojka è già arrivata in Mongolia, bussa adesso alle porte del Kuwait. Sarà ammessa? Forse sì, ma ci vorrà tempo. Questi dimostranti kuwaitiani non chiedono qualcosa di nuovo, vogliono quel po' di democrazia che l'emiro Jaber Al Ahmed Al Sabah aveva concesso ne! 1985. In quell'anno, nel tentativo di attenuare le critiche contro il suo regime, l'emiro creò un'Assemblea nazionale di 50 deputati, eletti per quattro anni dai cittadini di sesso maschile e di pura discendenza kuwaitiana. Contrariamente alle previsioni, l'Assemblea si rivelò indipendente e pugnace, così nell'86 l'emiro profittò della guerra Iran-Iraq per «sospendere» il neo-Parlamento. Vane sono state da allora le richieste di ripristinarlo. Da dicembre la scena è mutata. Ogni lunedì colonne di dimostranti esortano l'emiro ad agire, a dare democrazia al Kuwait. Dapprima erano poche centinaia, ora sono migliaia. La settimana passata la polizia, intimorita dalle dimensioni della folla, era ricorsa a qualche bomba lacrimogena per trattenere le baldanzose pattuglie che cercavano di raggiungere l'abitazione di un ex deputato. Lo scorso lunedì 15, al calar della sera, quattromila dimostranti hanno ascoltato i discorsi di diversi ex parlamentari. Non si è avuta violenza. La polizia, che aveva tentato di impedire la manifestazione con barricate di filo spinato, ha poi concesso il suo benestare. Quanto avviene nel Kuwait non è che il sintomo più vistoso di una irrequietezza crescente in tutto il mondo arabo. Nella scia delle rivoluzioni nell'Est europeo, aumentano gli intellettuali che si domandano perché il «pianeta Islam» non sia riuscito a produrre una sola genuina democrazia. Molto si è scritto su questa peculiarità politica — che i più attribuiscono alla religione, mentre altri vi vedono il retaggio di antiche avversioni e gelosie tribali — e molto si scriverà nei mesi a venire. I regimi, tutti, hanno subito percepito questa nuova atmosfera: e sono preoccupati. Non sanno come reagire. Si consultano in tutte le sedi, dalla Lega araba al Consiglio di cooperazione del Golfo. Non bisogna attendersi grandi e rapide novità. Si assisterà piuttosto a un lungo periodo di sporadiche tensioni, con qualche modesto ^progresso, qua e là. Il Kuwait era un caso eccezionale e continua a esserlo. L'immensa ricchezza dei suoi due milioni di abitanti non ha addormentato gli spiriti. Migliaia di kuwaitiani, soprattutto dei ceti più benestanti, vogliono una stampa più libera e un sistema politico che permetta ai cittadini di vigilare sulle attività del governo. L'emiro non è sordo a tali aspirazioni democratiche. Ma teme che un Parlamento inasprisca le divisioni nel piccolo Stato, soprattutto quelle fra la maggioranza sunnita e la grossa minoranza, un terzo, sciita. Mario Ciriello
Persone citate: Ahmed Al Sabah
Luoghi citati: Europa Dell'est, Kuwait, Londra, Mongolia
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