La ragazza: non sapevo nulla del blitz di Renato Ambiel
La ragazza: non sapevo nulla del blitz La ragazza: non sapevo nulla del blitz Ma per i carabinieri la famiglia era informata, lei protetta LUINO (Varese) DAL NOSTRO INVIATO «Voglio ringraziare i carabinieri. Andrò anche in chiesa a pregare. Ho avuto molta paura, per un attimo ho creduto di non uscire più viva da questa terribile storia». Antonella Dellea ha dormito poco ed è ancora visibilmente scossa. In quell'ufficetto del deposito di laterizi «Edilnafta» in cima ad una salita, dove hanno cercato di prelevarla gli uomini della 'ndrangheta, non vuole più tornare. Antonella è una ragazza minuta, timida. Dimostra assai meno dei suoi 27 anni. I capelli sono castani, corti, un po' mossi. Sul viso affilato spiccano i grandi occhiali da vista cerchiati in rosso. Indossa una camicetta a righe rosa con il colletto di pizzo, sotto un cardigan dello stesso colore e pantaloni marroncino. A Mesenzana, dov'è il deposito principale dei fratelli Dellea, c'è il solito andirivieni di clienti e automezzi, come ogni altro normale giorno di lavoro. I cronisti in attesa davanti alla villetta interna (un'abitazio¬ ne a due piani, dignitosa ma molto sobria) dove Antonella vive con i genitori (il padre Gianni e la madre Maria Stella), sono l'unico segno che le ricorda una serata di paura. La ragazza non vorrebbe parlare. Ma finisce per cedere alle insistenze dei giornalisti. «Poche battute e nessuna ripresa televisiva perché le consegne sono precise», ammonisce la zia materna, Gabriella, che vive a Varese ma ha trascorso qui la notte per stare accanto alla sorella ed alla nipote. Antonella sta sull'uscio, pronta a ritirarsi. Lo farà al primo ronzio delle telecamere. Il primo pensiero è per i suoi «salvatori», gli uomini dell'Arma. Poi dice una piccola bugia: «Non sapevo nulla del blitz e non ero neppure a conoscenza di essere nei mirino dell'anonima sequestri». Ma i carabinieri diranno: «Non abbiamo nascosto nulla. La famiglia e la ragazza sapevano. L'obiettivo era ben protetto». In quel deposito, Antonella, diploma di ragioniera ottenuto con l'obiettivo di entrare nell'azienda con il padre e gli zii, la¬ vora da circa un anno. Da quando cioè la sorella maggiore, Anna, 30 anni, è rimasta a casa perché ha dato alla luce un figlio. Tutte le mattine Antonella esce di casa di buon'ora e percorre in auto i quattro chilometri che separano l'abitazione dall'ufficio di via Stheli. «E' piuttosto isolato, per questo avevo paura. Temevo un furto, al massimo la rapina di un tossicodipendente. Ma non restavo mai sola in quell'ufficio. Anche l'altra sera c'era un dipendente, Dino Tondini. Era ormai prossimo l'orario di chiusura e stavo riordinando le carte. Ho visto salire la Golf bianca. Ha rallentato all'altezza del cancello. E' sceso un finanziere. Faticava ad aprire la porta difettosa del nostro ufficio. E' stato un attimo perché poi hanno sparato tutti ed io ho cercato di ripararmi dietro la scrivania. E' stata una liberazione quando sulla porta s'è presentato un carabiniere per tranquillizzarci. "E' tutto finito", mi ha detto». Che cos'ha pensato, in quel momento? «Che dovevo andare in chiesa a ringraziare Dio per essere ancora viva». Antonella prosegue: «Quando è arrivato mio padre, assieme al mio ragazzo, ci siamo abbracciati senza dirci nulla. Ero in pena per lui e la mamma. Non riuscivo a parlare. Mia madre era più spaventata di me. Più tardi, uscendo dall'ufficio, ho visto i due banditi vestiti da finanzieri a terra, in una pozza di sangue. Attorno tanti nastri di plastica bianchi e rossi. Allora sì mi sono impressionata. Forse soltanto allora mi sono esattamente resa conto di quanto era accaduto». «In quell'ufficio, da sola, non ci torno più. Questo è corto. Il matrimonio? Era fra i programmi di quest'anno, vedremo». Ha pensato agli altri ostaggi in mano all'anonima sequestri? «Certo, e debbo ringraziare ancora i carabinieri se sono qui con voi, libera. Sono stata fortunata. Mi auguro possano esserlo anche loro e soprattutto che li rilascino. Penso anche alle famiglie colpite da questi fatti. Non conosco alcuno dei rapiti. Dai giornali ho appreso che i genitori di Andrea Cortellozzi, il giovane rapito a Tradate, hanno un'attività commerciale come la nostra». La vostra azienda ha rapporti commerciali con la Calabria? «No. Lavoriamo nell'Alto Varesotto e con la vicina Svizzera». Quella dei Dellea è una famiglia benestante. Sono tre fratelli originari di Brissago Valtravaglia, un paesino sulle montagne del Luinese. Da boscaioli che erano si sono trasformati in commercianti di legna, eppoi di carbone. Ora trattano, in grande, materiali edili, laterizi, ceramiche e combustibili. E' stato Giuseppe, il maggiore dei tre fratelli, 63 anni, a cominciare l'attività con un solo camion. Sul finire degli Anni Sessanta faceva l'autotrasportatore. Poi i fratelli Ugo e Giovanni si sono uniti a lui. Adesso la famiglia Dellea si è chiusa nel silenzio. «Non sapevamo nulla degli appostamenti dcll'antisequestri e non vogliamo parlare di questa brutta vicenda. Ha già detto tutto Antonella». Renato Ambiel
Persone citate: Andrea Cortellozzi, Antonella Dellea, Dellea, Dino Tondini, Maria Stella
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