«L'inferno è durato due minuti» di Pierangelo Sapegno

«L'inferno è durato due minuti» I banditi avevano due fucili e un mitra giocattolo, i militari: impossibile prenderli vivi «L'inferno è durato due minuti» / testimoni raccontano la drammatica sparatoria tUINO (Varese) DAI. NOSTRO INVIATO Per l'Anonima sono arrivati i giorni della sconfitta. Eppure quei 4 mòrti hanno strappato un velo, ma continuano a nascondere altri misteri, altri dubbi inquietanti, una lunga serie di sequestri irrisolti. Salvatore Romeo, Sebastiano Giampaolo, Giuseppe Ietto e Sebastiano Strangio venivano tutti da San Luca e Careri, dal cuore dell'Aspromonte. Erano pedinati da tempo, ammettono gli inquirenti, perché qualcuno li aveva traditi. I carabinieri negano. Però, guarda caso, sapevano tutto. I quattro avevano fatto la spola fra la Calabria e la Lombardia, da quasi un mese su e giù, avevano un rifugio da queste parti, forse vicino a Saranno, e nel loro mirino c'era più di un obbiettivo. Solo alla fine, sostengono gli investigatori, avevano scelto Giovanni Dellea, piccolo grossista con tre depositi nell'alto Varesotto, fra Mesenzano e Luino, non ricchissimo ma benestante. Vittima designata, Antonella, 27 anni, un diploma da ragioniera, minuta, capelli lisci e occhialini. Ai banditi è andato subito storto qualcosa. Il sequestro dovevano farlo con una Alfa 75, rubata a Como. Ma la macchina si rompe. Allora, rubano una Golf bianca, il 9 gennaio, vicino a Saranno. Hanno i giorni contati, e non fanno neanche a tempo a cambiar la targa. Ieri, passano all'azione. Giuseppe Ietto, 28 anni, il boss, sospettato per il rapimento di Nicola Campisi, e Sebastiano Strangio, 25, cugino del sindaco di San Luca, sono vestiti da finanzieri. Salvatore Romeo è alla guida, e dietro c'è Sebastiano Giampaolo, 38 anni, anche lui pezzo da novanta delle còsche calabresi. In macchina portano due fucili a canne mozze e una mitraglietta giocattolo. I carabinieri del nucleo antisequestri di Milano li seguono. Poco dopo le 17,30 di martedì, i quattro arrivano a Germignaga, un pugno di piccole case e villette disseminate attorno alla provinciale, alle porte di Luino, sul Lago Maggiore. Il deposito della Edilnafta, di Giovanni Dellea, sta a un balzo, ai piedi delle colline. Passa la Golf bianca, nel silenzio del paese. Paola Vit, che lavora alla carrozzeria, vicino al deposito della Edilnafta, la vede girare per via Stheli, una carraia che si inerpica proprio di fronte al bivio che porta a Luino. E vede anche un furgone che segue qualche metro indietro: lo nota, dice, «perché gira pure lui, su per la stradina». Ci sono due curve in salita e poi un cancello che sbarra la via e si apre sul cortile lungo e rettangolare, chiuso davanti e di fianco da pile di laterizi. Sulla destra c'è il gabbiotto con gli uffici. Dentro, Antonella Dellea è seduta dietro la scrivania e in piedi accanto a lei sta Edoardo Tondini, 55 anni, operaio. «Ho visto la Golf entrare piano, l'ho vista fermarsi proprio davanti a me», racconta Antonella. Il furgone con i carabinieri s'è fermato prima del cancello, nascosto dagli alberi e dal muro. Altri militari sono nel cortile, dietro i mattoni, sui tetti delle villette, dietro gli alberi. Altri ancora arrivano dopo: sette macchine per chiudere ogni via di fuga. Due carabinieri, infine, sono nel gabbiotto. Dalla Golf scendono Ietto e Strangio, i due falsi finanzieri. Salgono gli scalini cercando di nascondere la lupara e il mitra. «Ho incrociato lo sguardo di uno», ricorda Antonella. E' quello più avanti, che sta bussando alla porta. La apre, fa per entrare. Ma si blocca. Si gira verso il compare, gli dice qualcosa. Antonella è terrorizzata. Tondini, vicino a lei, osserva ignaro. In quel momento alle loro spalle spunta un carabiniere, sbucato dalla pila di mattoni che nasconde il magazzino, di fronte al cancello. Giurano, gli inquirenti, di aver intimato l'alt: «Arrendetevi, siamo carabinieri». E giurano che dal finestrino della Golf è apparsa la canna di un fucile, l'auto viene crivellata di proiettili. L'operaio che lavora alla carrozzeria di Angelo Vit è sicuro: «Li ho sentiti sparare con i fucili a pompa: erano colpi sordi, forti, diversi da quelli di pistole e mitra». Due minuti è durata la trappola di fuoco. In quei due minuti, Edoardo Tondini e Antonella si sono tappati nello sgabuzzino dietro l'ufficio, stretti l'uno all'altra quasi senza respiro. E in quei due minuti, Giuseppe Ietto e Sebastiano Strangio cercano invano di scappare da quel rosario di fuoco correndo verso il cancello, giù per la stradina buia. Ma fuori, piazzato in mezzo alla carraia, c'è il furgone; e dietro gli alberi stanno appostati altri carabinieri; e su dalla via ne arrivano ancora altri. Non c'è scampo. Ietto e Strangio sparano contro il furgone, la lamiera color caffelatte è tempestata di buchi. Orazio Passante, alla guida del Ducati, è ferito al braccio destro. Per farsi largo tra il muro e il camioncino spingono a spallate, ammaccano la lamiera. E riescono a passare. Allora, si spalanca il portellone posteriore. Cinque mitra fanno fuoco. Ietto e Strangio cadono, alla fine, falciati. La signora Vit ricorda i due finanzieri a terra e un giovane che continuava a sparare: «Gli tremava la mano, non riusciva a fermarsi, e gli altri gli dicevano basta, è finita». Due minuti sono passati. La Golf è sbrindellata, i vetri bucati. Era proprio necessario ucciderli tutti e quattro? Non si poteva catturarne vivo qualcuno, anche per aiutare le indagini sugli altri sequestri? La risposta degli inquirenti è netta, sbrigativa: «Impossibile. E poi era gente decisa, dura. Non avrebbe parlato in ogni caso». Pierangelo Sapegno màim La Golf bianca targata Como che I quattro banditi avevano rubato per sequestrare la figlia dell'imprenditore è stata crivellata dai proiettili dei carabinieri

Luoghi citati: Calabria, Careri, Como, Germignaga, Lombardia, Luino, Milano, Varese