Come «fermare» il riso spagnolo di Gianfranco Quaglia
Come «fermare» il riso spagnolo Da Mortara nuove varietà per l'estero Come «fermare» il riso spagnolo MORTARA DAL NOSTRO INVIATO Sono state battezzate con nomi mitologici: Pegaso, Mida, Dedalo, Icaro, Idra. Così hanno voluto i ricercatori italiani «padri» delle nuove varietà di riso di tipo Indica (o Patna), non ancora iscritte al registro nazionale, ma già collaudate in campo. I primi risultati sono incoraggianti per gli studiosi del Centro ricerche dell'Ente Risi di Castel d'Agogna, vicino a Mortara. L'equipe guidata da Giorgio Baldi ha messo a punto queste nuove linee di cereale, che potrebbero dare una svolta all'esportazione del nostro riso. L'Indica, al contrario della «japonica» cui appartengono i tipi tradizionali' di riso coltivato nella Pianura Padana, è di origine tropicale o subtropicale, chicco sottile e cristallino, molto resistente alla cottura. Piace ai consumatori del Nord-Europa, che del riso fanno un uso diverso da quello italiano, utilizzandolo come contorno o per insalate. E in quasi tutti i Paesi della Cee gli spagnoli sono già arrivati con il loro «Indica», denominato «L 202»: la risicoltura della penisola iberica, grazie al clima favorevole, infatti sta sfruttando molto bene questa varietà importata dagli Stati Uniti. L'Italia si inserisce nel filone imposto dai consumatori stranieri e gioca le carte con la ricerca. Le difficoltà sono parecchie, perché l'Indica soffre dei mutamenti di temperatura, così frequenti nel triangolo d'oro della risicoltura italiana (Vercelli, Novara, Pavia). «Inutile tentare con materiale straniero — dicono i ricercatori — occorre realizzare qui da noi nuove varietà resistenti, lavorando sugli ibridi. Costituire cioè un'Indica (o Patna) di origine italiana, che tenga il passo con quelle provenienti dalla Spagna e dagli Usa». E l'obiettivo già raggiunto in laboratorio e dal vivo, con il nuovo Centro ricerche. L'Ente nazionale risi ha realizzato questo complesso (costato oltre sette miliardi) senza aiuti dall'esterno. All'avanguardia in Europa, sarà inaugurato tra breve ed è destinato a diventare un centro pilota non solo per l'Italia ma per gli studiosi del settore di tutto il mondo. Guardano con molta attenzione a questa «Università del riso» della pianura padana in particolare i ricercatori francesi e spagnoli, che temono di essere scavalcati dopo i passi compiuti negli ultimi anni. Dal laboratorio permanente di Mortara è uscito anche il riso all'asciutta, una tecnica rivoluzionaria adatta per quelle località dove c'è carenza idrica: il cereale viene coltivato non con la sommersione totale del terreno (com'è nella consuetudine) • ma attraverso irrigazioni saltuarie dopo la semina, come nel caso del mais. Al genotipo è stato dato un altro nome mitico: Prometeo. Ma non sarà questo il cavallo di battaglia della risicoltura italiana. Con le varietà Indica, per le quali la Cee ha stanziato contributi allo scopo di incentivare i risicoltori a orientarsi verso coltivazioni di questo tipo, l'Ente nazionale risi ha avviato una politica promozionale a largo respiro, con un «budget» di tre miliardi, cercando di raggiungere un potenziale europeo di 320 milioni di consumatori. Lo sforzo cade in un momento particolare della commercializzazione: l'Italia, con una superficie record di 207 mila ettari, ha prodotto nel 1989 oltre 12 milioni di quintali. All'inizio della campagna contrattazioni la varietà da export erano state quotate al di sotto dei prezzi d'intervento stabilite dalla Cee, un minimo storico che ha disorientato gli agricoltori. Dopo circa tre mesi 1 Italia ha venduto circa 4 milioni di quintali, pari al 31 per cento del quantitativo. «C'è una ripresa sul mercato interno — dice il direttore dell'Ente risi, Angelo Politi — ma la situazione è ancora pesante su quello mondiale». Gianfranco Quaglia
Persone citate: Angelo Politi, Giorgio Baldi, Icaro, Idra, Mida, Mortara
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