La vecchia guardia è con Scalfari di Andrea Di Robilant

La vecchia guardia è con Scalfari Fermento nella redazione di «Repubblica» per le prossime decisioni del direttore La vecchia guardia è con Scalfari «Faremo un nuovo quotidiano» ROMA. Mai un quotidiano ha ricevuto così tanta pubblicità prima ancora di uscire in edicola. E mai l'uscita di un quotidiano è stata così incerta e misteriosa. Perfino il nome, sbandierato da più di un mese, adesso viene messo in dubbio: forse non potrà neppure chiamarsi \'Indipendente, perché altri editori avevano già pensato a registrare quella testata. Ma nonostante tutta questa incertezza, i segnali che Scalfari si appresta a lanciare una nuova testata si moltiplicano e proprio ieri, tra i giornalisti, si è diffusa la voce che il loro direttore sarebbe in procinto di concludere l'acquisto di un impianto di rotative. Sempre ieri, a rafforzare l'impressione che la decisione è ormai prossima, è venuto un editoriale di fuoco del direttore di Repubblica contro Berlusconi e i suoi alleati politici, paragonati per l'occasione a Mackie Messer, il celebre gangster nel1'«Opera da tre soldi» di Bertolt Brecht e Kurt Weill. «Questo non è più il tempo dei gattopardi — ha scritto Scalfari — ma delle iene e degli sciacalli». Ma è l'ultima frase dell'editoriale che ha suscitato tra i giornalisti la maggior curiosità. Scalfari ricorda di essere stato paragonato in passato ad un ircocervo, «animale per metà uomo e per metà ariete, o caprone che dir si voglia». E conclude: «Gli ircocervi, come tutti gli animali mitologici, hanno una stranissima proprietà: ogni volta che gli tagliano la testa, quella testa rinasce di nuovo». «Tra una testa e una testata — ha commentato un giornalista che ha chiesto di rimanere anonimo —, la distanza è poca. A molti di noi è sembrato che quell'editoriale fosse scritto da uno Scalfari che non ha più intenzione di trovare un compromesso con Berlusconi, ma che ha deciso di rompere definitivamente». Ai giornalisti che vengono a chiedere notizie, i «senatori» di Repubblica — come Giampaolo Pansa, Sandro Viola, Alberto Cavallari — rispondono ormai con una certa serenità d'animo: «Non vi scoraggiate, che il nuovo giornale lo facciamo». «Del resto — dice Sandra Bonsanti, inviata — se viene Berlusconi non si può pensare che i veterani di questo giornale, alcuni dei quali sono tra i migliori giornalisti in Italia, se ne vadano a casa a scrivere libri. Mi pare dunque automatico che nasca un nuovo quotidiano: ci sono troppe energie qui dentro perché vengano messe a tacere». I più interessati a questo nuovo progetto sono quelli che parteciparono al varo di Repubblica, esattamente 14 anni fa, e che sono legati al giornale da un affetto particolare. «Eravamo in sessanta il 14 gennaio del 1976», dice uno di loro. «Oggi siamo più di trecento, ma del gruppo iniziale siamo rimasti non più di trenta-quaranta giornalisti, cioè appena un decimo del corpo redazionale». E i giovani approdati al giornale successivamente, durante il periodo di grande espansione, come reagiscono al nuovo progetto? «Da qualche giorno — dice scherzosamente Gregorio Botta, redattore politico, circola tra di noi la battuta: ti ha chiamato il direttore per il nuovo giornale?». «Certo — prosegue — sarei contentissimo se l'icocervo ri- prendesse a camminare. Ma in verità quello che più ci interessa è che Repubblica rimanga un giornale libero. Altrimenti c'è il rischio che quelli che resteranno, gli esclusi dal nuovo progetto, diventino la bassa forza sconfitta». Altri appaiono meno preoccupati. «Credo — dice ancora Sandra Bonsanti — che alla fine ognuno sceglierà la propria strada assai serenamente, sia che decida di rimanere con Berlusconi, sia che opti per il nuovo giornale di Scalfari, sia che scelga un'altra testata ancora. E credo che ognuno rispetterà le scelte altrui perché siamo tutti molto legati». «Quello che invece mi dispiace davvero, anzi mi fa una gran rabbia, è il disperdersi di questo gran patrimonio umano che si era costruito in quattordici anni». Andrea di Robilant

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