MA IL POPOLO ANCORA NON VINCE di Barbara Spinelli

MA IL POPOLO ANCORA NON VINCE MA IL POPOLO ANCORA NON VINCE IN un modo o nell'altro, tutti siamo convinti che il 1989 sia stato un anno decisivo, di grandi e irrevocabili svolte: un anno di rivoluzioni, di morte definitiva del comunismo, e di decolonizzazione dell'Europa. Le immagini viste in tv ci hanno dato questa certezza, e le immagini a quanto pare sono incontrovertibili: creano catene di eventi prima ancora che gli eventi prendano corpo, accelerano la storia anche quando la storia ristagna, fanno vedere un presente che già tende a spacciarsi per futuro. Così abbiamo visto cadere il Muro di Berlino, crollare la dittatura di Ceausescu, riempirsi le piazze di Lipsia, Praga, Bucarest, e l'idea di un'epoca assolutamente nuova si è radicata nelle nostre menti senza incontrare resistenze. Abbiamo visto i popoli divenire protagonisti della propria storia, e il vecchio ordine dissolversi in fumo. Abbiamo visto svanire i partiti comunisti e scemare d'un sol colpo il potere sino a ieri coloniale dell'Urss. E abbiamo preso per vero tutto quel che vedevamo, senza preoccuparci di verificare quale fosse il rapporto delle foto istantanee con la realtà, delle parole immediate con gli atti dei giorni successivi. Tanto più amaro è dunque il risveglio, nel nuovo decennio che sta cominciando. Tanto più difficile ammettere che il decisivo ancora deve succedere, che la rivoluzione democratica ancora dev'essere vinta, e che il vecchio ordine è lungi dall'essere abbattuto. Una prima avvisaglia di come la storia proceda lentamente — e sia spesso tradita dalle immagini — la si è avuta in Romania subito dopo la caduta di Ceausescu. In principio sembrava per l'appunto che il «popolo» fosse protagonista esclusivo della rivolta, e che il potere comunista davvero fosse stato liquidato. Così sembravano dire le folle ammassate a Bucarest o a Timisoara; e così sembrava pensare il Cremlino, con il suo modo di condursi apparentemente passivo, fatalisticamente benevolo. Si è saputo poi come la rivoluzione fosse stata abilmente pilotata da Mosca, e la ribellione popolare cavalcata sapientemente da un gruppetto di comunisti romeni fedeli a Gorbaciov. Il risultato comunque era positivo, una dittatura sanguinaria comunque veniva spezzata, ma alla fine della corsa non c'era ancora la democrazia liberale bensì un comunismo rifabbricato, ribattezzato, e scagionato d'ogni responsabilità. Un comunismo che non si chiama più tale, che seppellisce senza patemi d'animo i vecchi abiti, e che tende a sciogliersi totalmente nel «popolo», nelle sue ribellioni, nelle sue rivoluzioni. Un comunismo rilegittimato, che comincia da capo la storia e si comporta come se quarantanni di regime non fossero esistiti, come se Ceausescu non facesse parte della propria biografìa. Visto in questa prospettiva, l'anno che si è appena concluso assume sembianze quasi grottesche: fino a quando non si svolge' ranno elezioni libere, in Europa orientale, saranno i comunisti a garanrire il successo di ribellioni Barbara Spinelli CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA * %

Persone citate: Ceausescu, Gorbaciov

Luoghi citati: Berlino, Bucarest, Europa, Mosca, Praga, Romania, Timisoara, Urss