«A Pisa Sofri mi disse: la cosa va fatta»

«A Pisa Sofri mi disse: la cosa va fatta» Al processo Calabresi l'ex militante di Le ricostruisce la preparazione e l'esecuzione del delitto «A Pisa Sofri mi disse: la cosa va fatta» Marino conferma tutte le accuse MILANO. Leonardo Marino, al secondo giorno, si ripete. Insiste ancora con le sue accuse, non riesce ad evitare pasticci e confusione, pure qualche contraddizione. Però conferma. Lui ha accompagnato Ovidio «Enrico» Bompressi, il 17 maggio 1972 sotto l'abitazione del commissario Calabresi; e Sofrì c Pietrostefani avevano dato l'ordine. Per la prima volta, in aula, Marino ha raccontato quel giorno, «il giorno della cosa». E pur tra incertezze, memoria che c'è e non c'è, difficoltà di parola («non sono un intellettuale»), ha ripetuto le sue pesanti accuse. Domanda il presidente, Manlio Minale: «Quando ci fu l'ultima riunione prima del delitto?». Marino: «Il giorno prima della manifestazione di Pisa per la morte dell'anarchico Serantini. Pietrostefani, a Torino, mi avvicinò e mi disse che la cosa andava accelerata. Dissi a Pietrostefani che ne volevo parlare anche con Sofri». Presidente: «Lei aveva già dato l'adesione a quel progetto, perché ne voleva parlare con Sofri?». Marino: «La mia era un'adesione con riserva. Pietrostefani sapeva che ne volevo parlare con Sofri e appunto mi disse di andare a Pisa il giorno dopo per incontrarlo». Presidente: «Cosa voleva sapere da Sofri, se tutto l'esecutivo di Lotta Continua era d'accordo. oppure le bastava il suo via libera? Se Sofri avesse detto l'esecutivo ha deciso, ma io sono contrario...?». Marino: «Non l'avrei fatto». Presidente: «Cosa accadde a Pisa, quel 13 maggio '72?». Marino: «Mi incontrai brevemente con Sofri. Andammo in un bar, presi un caffè, poi dissi a Sofri che gli dovevo parlare. Gli chiesi se era d'accordo e lui mi confermò che la cosa andava fatta». Presidente: «Se può dovrebbe riferirmi le parole esatte». Marino: «Gli ho chiesto se sapeva del progetto di eliminare Calabresi e mi rispose di andare tranquillo, che lui e gli altri compagni avevano molta fi¬ ducia in me e in Ovidio. Mi disse, se fosse successo qualcosa, di non coinvolgere l'organizzazione. Mi parlò dell'assistenza legale e mi assicurò che avrebbero provveduto alla mia famiglia». Presidente: «Chi le disse torna a Torino e aspetta la telefonata di Luigi?». Marino: «Quando ci siamo salutati me lo disse Adriano Sofri». Presidente: «Poi cosa è successo...». Marino: «Il 14 maggio è arrivata la telefonata di Luigi». Il racconto del viaggio a Milano, del furto della Fiat 125 vicino all'abitazione di Calabresi, dell'attesa, la mattina del giorno 16, quando Calabresi uscì più tardi e Marino tornò a Tori¬ no, per poi rientrare a Milano la sera del giorno stesso. Presidente: «E la mattina del delitto?». Marino: «Ci siamo divisi. Io, con l'auto parcheggiata lì vicino dovevo portarmi sotto casa di Calabresi 10 minuti prima delle 9. "Enrico" doveva attendere sotto. Ho fatto colazione al bar della metropolitana e lì ho dimenticato il berretto. Ho avuto un incidente con un'altra auto, ma sono ripartito velocemente. Mi sono fermato poco oltre l'abitazione, facevo finta di lèggere il giornale e avevo la pistola tra le gambe. Dallo specchietto retrovisore vedevo "Enrico"». Marino, adesso, parla con fa¬ tica. Il presidente lo interrompe, chiede un bicchiere d'acqua. Ancora Marino: «Quando il dottor Calabresi è uscito, l'ho riconosciuto subito. Ha salutato una persona, forse il portiere. A quel punto "Enrico" si è avvicinato. Ha attraversato la strada e ha seguito Calabresi con passo più veloce fino a quando è arrivato alla sua 500. Ho visto chiaramente i due colpi, uno alla nuca e uno alla schiena...». C'è tensione, in aula. Il presidente la spezza con una domanda: «E poi?». «Io avevo fatto retromarcia per avvicinarmi a "Enrico". E' salito in auto, mi ha raccomandato di andare pia- no perché tanto nessuno ci stava seguendo. "Che schifo", disse». Il ritorno a Torino, quindi il 20 maggio il viaggio a Massa per una manifestazione di Lotta Continua con comizio di Sofri. Presidente: «Chi c'era?». Marino: «C'era "Enrico", ma l'ho salutato soltanto evitando di fermarmi. Con Sofri ci siamo salutati e parlati. Mi disse che avevamo fatto un buon lavoro». Presidente: «E Bompressi?». Marino: «Aveva cambiato pettinatura e si era schiarito i capelli. Anche Laura Buffo, che era venuta con me da Torino, disse: "Hai visto come si è conciato, assomiglia di più all'identikit di chi ha ucciso Cala¬ bresi». L'interrogatorio di Marino è ancora lontano dalla fine. Tra martedì e ieri ha già risposto per sette ore. Ha incertezze, spesso non s'intende con il presidente, non capisce. E' sicuro quando racconta i fatti, è meno sicuro quando deve ricordare, come vuole il presidente, le esatte parole di Sofri, o di Pietrostefani o di Laura Buffo, che secondo l'accusa era a conoscenza della «cosa». E, come vuole il gioco delle parti, tutti, difensore di Marino e difensori degli altri tre, si dichiarano soddisfatti. Giovanni Cerniti ! figli di Calabresi. Mario (a sinistra nella foto, con il fratello Paolo) segue fin dall'inizio le fasi del processo