Sulle orme di antichi dei di Angelo Mistrangelo

Sulle orme di antichi dei Due volumi: tra antiche civiltà e la maestria di Juvarra Sulle orme di antichi dei Torino come un «progetto globale» EEVOLUZIONE della civiltà e delle esperienze artistiche sul territorio nazionale trovano in due volumi un pregevole riscontro, una serie di testimonianze che forniscono gli elementi essenziali per una più approfondita conoscenza del tessuto sociale, economico, urbano. Nella collana «Antica Madre», a cura di Giovanni Pugliese Carratelli, è uscito il ponderoso Italia, omnium terranini parens, che pone in evidenza i vari aspetti della civiltà degli Enotri, Choni, Ausoni, Sanniti, Lucani, Brettii, Siculi, E limi. Edito dalla Schei willer per il «Credito italiano», suggerisce una chiave di lettura su popolazioni e costumi non ancora pienamente rivelati. L'indagine prende l'avvio dalle genti della Sicilia, Sicani, Siculi ed Elimi, attentamente rivisitate nel saggio di Vincenzo La Rosa. La ricostruzione archeologica di architetture, riti, suppellettili, l'analisi degli oggetti trovati nelle necropoli, ì contatti con il mondo egeo, permettono di definire gli eventi che appartengono alla vita quotidiana. E. così si ravvisa come i nuovi ricchi della tarda età del bronzo, al tempo dei Sicani, affidavano il loro prestigio a pugnali, armi e anelli d'oro, mentre erano associati al mitico re Kokalos. In particolare, i Siculi adoravano il dio Adrano, il cui tempio era difeso da mille cani e sorgeva sulle pendici occidentali dell'Etna. La dea Hybla, invece, era venerata nel santuario eretto nel territorio di Paterno, tra i suoi sacerdoti si annoveravano famosi indovini e interpreti di sogni. Di quel momento si sottolineano pezzi di grande valore, quali l'anfora-cinerario a una sola ansa, con coperchio costituito da una ciotola carenata, di rito villanoviano, proveniente da Paterno, del X secalo ' a. C, o la Coppia di figure in "bronzo dalla fine dell'Vili-prima metà del VII secolo a. C. S'incontrarono, poi, le armi in bronzo (spada lunga, spada corta e lancia) del Museo Archeologico di Reggio Calabria, che consentono di risalire agli Enotri («la più antica tra le popolazioni venute in Italia dalla Grecia e dall'Egeo, discendente dagli Arcadi di Licaone, diciassette generazioni prima della guerra di Troia») e agli Ausoni, di origine remota, stabilitisi tra il Lazio meridionale e lo Stretto di Messina sul versante tirrenico. Si hanno, quindi, le genti della Basilicata la cui vicenda è «tracciata con sufficiente chiarezza da Strabene, che a questo proposito deriva le sue informazioni principalmente da Antioco, lo storico siracusano contemporaneo di Tucidide». I Lucani erano anche considerati discendenti da Sparta e i «loro costumi, improntati all'austerità — scrive Bruno d'Agostino — e alla saggezza, sono anch'essi spartani...». Nelle tombe femminili si è scoperto che, nelle sepolture di maggior prestigio, la «defunta reca in vita una cintura di bron- zo, al disotto della quale si celano il cosiddetto calcofono, un oggetto complesso interpretato dalla Zancani Montuoro come strumento musicale e un grande pendaglio; a volte le caviglie sono cinte da armille a spirali». Nell'area dell'attuale Calabria, intorno al 350 a. C, sono documentati i Brettii, che le fonti letterarie greco-latine configurano «come protagonisti di un processo di «crescita» ed espansione violenta, con conquiste, assoggettamenti, espulsioni, • soprattutto ai danni delle città iLa 1 iote». Nei loro corredi si segnalano armature anatomiche, cinturoni, vasi di banchetto-simposio, gioielli in oro e argento, cosmesi muliebre. «Assai ricca e complessa appare la monetazione "federale" dei Brettii, che si articola in emissioni auree, argentee, bronzee...» (Mario Lombardo). Un ampio capitolo è inoltre riservato ai Sanniti da Adriano La Regina, che fa presente come «il loro indomito senso di libertà emerge dalle più belle pagine de¬ dicate da Livio alla narrazione del conflitto con i Romani, protrattosi per settanta anni, tra la metà del IV secolo e i primi decenni del III. Ne resta traccia ancora in Plinio, che include i Sanniti tra le «gentes fortissimae Italiae». Le lingue e le scritture, l'economia e la società, le Religioni degli italici, sono altrettanti documenti che, insieme alla ricca selezione di riproduzioni, rende altamente suggestivo il volume. Per la Banca Crt, Giovanni Romano ha curato, insieme con Andreina Griseri, Filippo Juvarra a Torino I nuovi progetti per la città, con progetto grafico di Giovanni Bertolè della Editris. La ricerca intorno alla «progettualità globale» dell'architetto messinese, si inserisce nell'ambito delle precedenti pubblicazioni Arte di corte a Torino (1987) e Figure del Barocco in Piemonte (1988), componendo «un trittico unitario di indagini sulla capitale sabauda, vista come laboratorio autonomo di sperimentazione del Barocco, del Rococò e del pluralismo stilisti¬ co della Restaurazione...». In questo senso la vicenda di Filippo Juvarra si definisce nel contesto di una reinterpretazione urbanistica complessiva della città secondo gli intendimenti della nuova «politica del regno»: «L'essenziale era riuscire — afferma Costanza Roggero Bardelli — a tradurre il tutto in un lessico nuovo, dirompente ed innovativo, che apparisse come il segno mutato dei tempi senza operare sconvolgimenti "a priori" di grande rilievo, intervenendo invece su quei nodi urbani che si dimostravano ancora privi di una propria congruenza funzionale, oltre che formale...». E per tale compito Vittorio Amedeo U si rivolse all'abate del Maro a Roma, con una lettera del 23 gennaio 1715: «Testificherete al cardinal Ottoboni la pienezza del nostro gradimento della finezza dell'espressioni fattevi non solo rispetto ai concorrere al nostro desiderio di havere al servitù) nostro D. Filippo Juvarra, ma di quelle maggiori disposinone dimostratevi per tutto ciò che può rimirare il nostro servitio, delle quali facciamo certamente ogni più verocapitale nelle occasioni, che potranno occorrere». L'asse Rivoli-Torino-Superga, costituisce perciò il motivo conduttore di una visione urbanistica che a Stupinigi si traduce in un'«architettura emblematica, non più intesa come immagine del re, ma come luogo politico dello Stato, in cui prevaleva la coreografia della caccia in quanto rito ufficiale e sociale, non più personale». Gli interventi di Juvarra pongono l'accento sul castello di Rivoli (ora centro di rassegna d'arte contemporanea), sui progetti a pianta centrale, non eseguiti, per la ricostruzione del Duomo, sulla facciata della chiesa di Santa Cristina e i Quartieri Militari di San Celso e di San Daniele, Palazzo Madama e la chiesa di San Filippo. Attraverso la documentazione è possibile ripercorrere le tappe dell'attività dello Juvarra, ritrovare i motivi base della decorazione architettonica, degli altari piemontesi prima e dopo il suo arrivo, dei nuovi protagonisti e degli orientamenti artistici nella capitale sabauda, le collezioni torinesi di antichità e le acqusizioni e le informazioni culturali nella corrispondenza diplomatica sabauda del primo Settecento. Uno studio è stato approntato da Michela Di Macco su Ipittori «napoletani» a Torino: note sulla committenza negli anni di Juvarra, che traccia le linee di un impegno espressivo caratterizzato dalle personalità di Francesco Solimene, San Filippo Neri intercede per la città di Torino. Sebastiano Conca e Giuseppe Chiari, sino al Gianquinto e al romano Trevisani. Quest'ultimo era «pittore del Signor Cardinale Ottoboni, uomo fresco e buon inventore, di buon disegno e colorito, diligente e grazioso d'idea». Angelo Mistrangelo «Baccante in furore» (Parigi, Museo del Louvre)